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Missione Rosetta: le comete non hanno portato acqua sulla Terra

Forse gli scienziati saranno costretti a rivedere ampiamente le loro idee sulla formazione dell’acqua sulla Terra, questo è quanto si evince da alcune elaborazioni (pubblicate sulla rivista Science) effettuate grazie ai dati raccolti dalla missione Rosetta. La sonda Rosetta, atterrata lo scorso 12 novembre sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, ha messo in evidenza come l’acqua presente sulla cometa risulta diversa da quella che abbonda sul nostro pianeta, nella fattispecie, i due spettrometri di massa (Rosina) della sonda hanno analizzato il vapore acqueo proveniente dalla superficie della cometa, riscontrando che l’acqua della cometa ha le stesse proprietà fisiche dell’acqua terrestre ma, rispetto a quest’ultima, ha maggiore massa con atomi di idrogeno sostituiti con atomi di deuterio; il team ha addirittura scoperto che l’acqua pesante sulla cometa 67P è addirittura più di tre volte superiore alla medesima acqua presente su tutta la Terra. Il prof. Kathrin Altwegg, dall’Università di Berna, in Svizzera, impegnato anche lui sul progetto Rosetta, ha dichiarato: “questo rapporto tra acqua pesante e leggera è molto caratteristico e non facilmente mutabile nel tempo”. Tuttavia altri studi, che prendono in esame i dati del telescopio Herschel Space, hanno in precedenza rivelato che l’acqua presente sulla cometa Hartley 2 (103P/Hartley) – una piccola cometa della Fascia di Kuiper  in una regione del Sistema Solare che si estende dall’orbita di Nettuno (alla distanza di 30 UA) fino a 50 UA dal Sole) appartenente alla famiglia delle comete gioviane, scoperta nel 1986 da Malcolm Hartley – sembra essere più simile e compatibile con il rapporto tra deuterio e idrogeno presente nell’acqua terrestre. Il prof. Altwegg ritiene che “abbiamo molte diverse comete provenienti da diverse regioni del sistema solare, in alcune è presente acqua leggera, in altre acqua pesante, in ogni caso l’impatto di diverse tipologie di comete sulla Terre avrebbe comunque portato a una miscela in cui avrebbe sicuramente prevalso l’acqua più pesante, ciò lascia dedurre che molto probabilmente l’acqua presente sulla Terra non proviene dalla comete”. A questo punto la teoria più accreditata è che l’acqua terrestre provenga dagli asteroidi, l’acqua in essi rinvenuta è infatti molto più simile a quella terrestre. Tuttavia, gli stessi ricercatori affermano che è troppo presto per escludere la teoria secondo la quale l’acqua terrestre provenga dalle comete e che per appurarlo sono necessari ulteriori studi. Fonte

Ecco perché l’acqua calda congela prima di quella fredda

Scienziati della Nanyang Technological University di Singapore sono riusciti a capire come mai l’acqua calda congela più rapidamente dell’acqua fredda, un fatto conosciuto come effetto Mpemba, riscoperto casualmente nel 1969 dallo studente tanzaniano Erasto Mpemba, ma già raccontato nel IV secolo a.C. da Aristotele.  Fino ad oggi, nonostante le tante ipotesi avanzate, nessuno era mai riuscito a dedurre qualcosa di scientificamente apprezzabile, anche se la  nuova scoperta, in ogni caso, dovrà comunque essere dimostrata e approvata dalla comunità scientifica internazionale. I ricercatori spiegano così il fenomeno: le molecole d’acqua sono composte da un atomo d’ossigeno e due di idrogeno, tenuti insieme da legami covalenti. Contemporaneamente, tramite il legame idrogeno, gli atomi di idrogeno di una molecola sono attratti da quello d’ossigeno delle molecole più prossime; nonostante questa attrazione, nel complesso le molecole d’acqua, a una certa distanza, tendono a respingersi. Gli scienziati hanno osservato che, in funzione del fatto che la distanza tra le molecole è dipendente dalla temperatura, nell’acqua calda la distanza risulta massima, di conseguenza anche l’effetto di repulsione, effetto che rende i legami idrogeno maggiormente “in trazione” tra loro e quindi capaci di accumulare più energia, la stessa energia che poi viene liberata più rapidamente nella fase di raffreddamento dell’acqua calda. Il rilascio di tale energia tende quindi a far ricongiungere le molecole d’acqua a una velocità che risulta essere proporzionale alla quantità di energia a disposizione: più calda sarà l’acqua, maggiore risulterà essere l’energia liberata durante la fase di raffreddamento, con una conseguente maggiore velocità di riavvicinamento delle molecole e, quindi, di congelamento.

Un incredibile metodo per creare ghiaccio a temperatura ambiente

Un gruppo di scienziati del Centro spagnolo d’Investigació en Nanociència i Nanotecnologia (CIN2) hanno trovato un modo per innescare la formazione di ghiaccio a temperatura ambiente, utilizzando materiali artificiali per il controllo della condensazione dell’acqua. La ricerca, quindi, potrebbe presto portare alla creazione di nuovi additivi per la produzione di ghiaccio, migliorando i sistemi di freezer attualmente adoperati o addirittura permettendo la fabbricazione di una nuova serie di rivestimenti che aiutano la formazione di ghiaccio per piste di pattinaggio. Secondo il Dr.Albert Verdaguer, “sulla base dei nostri risultati e precedenti ricerche, stiamo preparando materiali artificiali per migliorare la condensazione dell’acqua in modo controllabile”. La ricerca è stata di recente pubblicata sul magazine scientifico Journal of Chemical Physics. Fonte e approfondimenti

Un virus per la produzione facile facile dell’idrogeno

Presso il MIT si sta lavorando per mettere a punto un particolare virus la cui dote sarebbe quella di scindere le molecole d’acqua sottoposta ai raggi solari (un po’ come succede in natura con le piante). In questo modo si renderebbe molto più agevole la creare di idrogeno. L’impiego su larga scala potrebbe essere un valido metodo per la produzione efficiente di energia e combustibile a idrogeno. I ricercatori, con a capo Angela Belcher, hanno modificato genetica un virus innocuo per l’uomo, nella fattispecie il virus conosciuto come M13; questi, modificato a dovere e grazie all’impiego dell’ossido di iridio (che funziona da catalizzatore) riesce ad aggregarsi con la porfirina di zinco, creando così un composto chimico capace di spezzare le molecole d’acqua. Fonte e approfondimento

Filtro trasforma pipì in acqua potabile

Si chiama H2O è un particolare filtro, disegnato da Leonardo Manavella,  capace di trasformare la propria urina in acqua potabile. Basta urinare all’interno del dispositivo così come in un qualunque water, stringere l’oggetto tra le proprie gambe, esercitando una cospicua forza, quindi bere l’acqua potabile prelevabile da un apposito beccuccio. Anche la NASA ha messo a punto un dispositivo simile, ma il costo di quest’ultimo è proibitivo: $250.000.