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Zero-G Espresso, le particolari tazzine che permettono di bere il caffè nello Spazio

Come bere una bella tazza di caffè nello Spazio? Per effetto della gravità è impossibile farlo così come sulla Terra, i liquidi diventano gocce che galleggiano a mezz’aria e l’unico modo è adoperare apposite cannucce. Ora però una nuova tipologia di tazzine, messa a punto dal prof. Mark Weislogel, della Portland State University, potrebbero dare modo agli astronauti di assaporare un buon caffè anche in assenza di gravità.
Il segreto sta nella forma della tazzina, con un contorno calcolato al millesimo, i ricercatori sono riusciti a imporre al liquido un percorso forzato che permette agli astronauti di sorseggiare i liquidi senza che questi formino bolle, il tutto funziona allo stesso modo di come viene preparato il caffè espresso, non a caso il nome della tazzina riprende nel nome proprio il termine “espresso”. Già nel 2008 una tazzina simile a questa venne progettata dall’ex astronauta statunitense Don Pettit. La NASA sembra essere estremamente interessata al progetto che potrebbe avere risvolti anche in altri ambiti, come quello della gestione dei combustibili in assenza di gravità. Sei tazzine “Zero-g Espresso”, in una missione di rifornimento prevista per il prossimo febbraio 2015, partiranno alla volta della Stazione Spaziale Internazionale a bordo del razzo SpaceX Dragon. Saranno utilizzate dagli astronauti per sperimentare, oltre al caffè, anche l’utilizzo di altri liquidi come succhi di frutta, frullati e cacao.

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Molti astronauti soffrirebbero di seri problemi alla vista

L’Università del Texas Medical School di Houston ha recentemente eseguito una serie di test sugli astronauti che avevano trascorso più di un mese nello spazio, scoprendo che questi avevano danni al bulbo oculare e ai tessuti cerebrali inerenti la vista. I ricercatori del Texas hanno studiato 27 astronauti che avevano partecipato in missioni NASA di lunga durata (con una permanenza media nello spazio di 108 giorni). Sui 27 esaminati, 9 manifestavano un’espansione dello spazio fluido spinale cerebrale che circonda il nervo ottico, 6 di questi con appiattimento della parte posteriore del bulbo oculare e 4 con rigonfiamento del nervo ottico. Gli astronauti manifestavano problemi simili a quelli causati dall’ipertensione endocranica. Larry Kramer, leader dello studio ha dichiarato: “La microgravità indotta dall’ipertensione endocranica rappresenta un fattore di rischio ipotetico e una potenziale limitazione di lunga durata per i viaggi nello spazio. Consideriamo, ad esempio, il possibile impatto sulle proposte di missioni con avere dell’equipaggio umano su Marte o addirittura il concetto di turismo spaziale. Il prossimo passo sarà la conferma dei risultati, la definizione di nesso di causalità e l’individuazione di possibili soluzioni al problema”. William Tarver, a capo del comparto medico del Centro Spaziale Johnson della NASA ha dichiarato: “La NASA ha preso questo problema in seria considerazione e ha avviato un programma completo per lo studio dei suoi meccanismi e le possibili implicazioni; continuerà a monitorare attentamente la situazione”. Se i dati venissero confermati, i piani spaziali della NASA potrebbero essere rivisti, in progetto ci sono piani per portare un astronauta su un asteroide nel 2025 e il primo uomo su Marte il 2030. Fonte