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L’ormone MOTS-c svolge gli esercizi fisici al posto tuo…

Scienziati dell’USC Leonard Davis School of Gerontology hanno scoperto un nuovo ormone che combatte l’aumento di peso causato da una dieta ricca di grassi, normalizzando il metabolismo e replicando i medesimi effetti che si ottengono generalmente con l’esercizio fisico. La ricerca è stata finanziata dal National Institutes of Health.

L’ormone MOTS-c interagisce principalmente con il tessuto muscolare, ripristinando la sensibilità all’insulina. “Ciò rappresenta un importante progresso nell’identificazione di nuove terapie per combattere malattie legate all’età come il diabete” ha spiegato Pinchas Cohen, preside della scuola di USC Davis e autore dello studio.

Per testare gli effetti dell’ormone MOTS-c, il team ha iniettato quest’ultimo in topi da laboratorio alimentati con una dieta ricca di grassi. Questo tipo di alimentazione in genere causa obesità, sviluppando nei topi una resistenza all’insulina. Si è così potuto constatate che l’ormone sorprendentemente ha invertito la condizione di insulino-resistenza, condizione che precede il diabete.

Secondo Changhan Lee, assistente presso la USC Davis e co-autore della ricerca, “questa scoperta getta nuova luce sui mitocondri e li posiziona come attivi regolatori del metabolismo”.

Tutti gli esperimenti compiuti con l’ormone MOTS-c, ad oggi sono stati eseguiti su topi di laboratorio, tuttavia i meccanismi molecolari riscontrati sono i medesimi presenti in tutti i mammiferi, compreso l’uomo. Fonte e approfondimenti

Archiviare i dati per l’eternità? Ecco la soluzione basata sul DNA

Come possiamo preservare la nostra conoscenza per i prossimi millenni? Alcuni ricercatori hanno individuato un modo per memorizzare le informazioni digitali nel DNA, preservandole così per tutta l’eternità.

Gran parte della nostra conoscenza è oggigiorno memorizzata su server, dischi rigidi o supporti ottici, apparati che negli potrebbero evolversi danneggiarsi lasciando “morire” inesorabilmente gran parte delle informazioni attualmente archiviate. Come fare quindi per preservare l’immenso volume di informazioni digitali attualmente presenti sui più disparati dispositivi di archiviazione?

Diversi ricercatori sono alla ricerca di nuovi modi per archiviare grandi volumi di dati a lungo termine. Particolare attenzione si sta prestando alla possibilità di archiviare le informazioni digitali nel DNA. Il materiale genetico si presta molto per memorizzare grandi quantità di informazioni in modo compatto.
I tentativi finora svolti non hanno però sortito gli effetti sperati, i dati codificati, infatti, non sempre sono stati recuperati senza errori, soprattutto per via della degradazione chimica e degli errori nel sequenziamento del DNA stesso.
Ora, però, i ricercatori guidati da Robert Grass, docente presso l’ETH di Zurigo hanno rivelato come l’archiviazione a lungo termine nel DNA, senza insorgenza di errori, può essere realizzata consentendo la memorizzazione potenziale per più di 1 milione anni.

Così come avviene in natura, in cui resti di milioni di anni fa, conservano integro il loro DNA, anche i ricercatori sono riusciti a mettere a punto una tecnica in grado di proteggere il DNA preservandolo dal tempo grazie una sorta di “mantello protettitivo” composto da silice. Per farlo, gli scienziati ha incapsulato il DNA in sfere di silice con un diametro di circa 150 nanometri, realizzando così una struttura all’incirca paragonabile a quella delle ossa fossilizzate. Per ricostruire potenziali parti di informazioni perse nel tempo, Reinhard Heckel e soci hanno testato con successo uno schema di correzione degli errori basata sui codici Reed-Solomon, un processo simile a quello utilizzati nella trasmissione di dati.

Per testarne l’efficacia, gli scienziati hanno conservato per un mese il DNA a una temperatura tra 60 e 70 gradi Celsius; queste temperature replicano la degradazione chimica, che generalmente avviene in oltre centinaia di anni, nell’arco di poche poche settimane. Il DNA incapsulato nel silice potrebbe essere poi sottoposto a soluzioni di fluoruro in grado di separare il silice e consentire quindi la rilettura delle informazioni immagazzinate.

Il DNA “sopravvive” a un volo nello Spazio con rientro in atmosfera terrestre

Un team di scienziati dell’Università di Zurigo è giunta a questa sorprendente conclusione durante un esperimento inerente la missione TEXUS-49: un razzo lanciato nel marzo del 2011 dal centro Esrange dell’Agenzia spaziale europea a Kiruna, in Svezia. I ricercatori hanno applicato sulla scocca del razzo dei campioni di DNA, una volta rientrato dalla missione il razzo ha conservato il campione di materiale genetico, ma non solo, il DNA recuperato (almeno il 35 per cento) era addirittura ancora in grado di trasferire informazioni genetiche. “Questo studio fornisce prove sperimentali che le informazioni genetiche del DNA sono essenzialmente in grado di sopravvivere alle condizioni estreme dello spazio e al rientro in atmosfera densa come quella della Terra” ha dichiarato il professor Oliver Ullrich dell’Università di Zurigo. L’esperimento era stato inizialmente concepito come pre-test per verificare la stabilità di biomarcatori durante il volo spaziale e rientro in atmosfera. Nessuno dei ricercatori si aspettava i risultati prodotti. L’esperimento spiana così la strada sulla ricerca di forme di vita extraterrestre.

Una ‘stampante’ per effettuare rapidamente il riconoscimento del DNA

Sviluppato da IntegenX negli Stati Uniti e Regno Unito, il dispositivo portatile da 250mila dollari, che assomiglia a una stampante e che non richiede alcuna conoscenza specifica per essere utilizzato, permette di analizzare in tempo reale (occorrono circa 3 minuti per avviare il processo di identificazione e quasi 2 ore per avere un riscontro) tamponi di materiale prelevato da una scena del crimine (denti o altro materiale organico, mozziconi di sigarette, parti di abbigliamento etc), quindi di collegarsi a un database nazionale del DNA e identificare il criminale se questi risulta già schedato.  RapidHIT è già utilizzato dalla polizia in Arizona, Florida e Carolina del sud ma anche in Stati come Cina, Russia, Australia e paesi dell’Africa e dell’Europa.

Computer basato sul DNA può calcolare radici quadrate di interi fino a 15

L’acido deossiribonucleico (DNA) è il materiale genetico di tutti gli organismi viventi conosciuti sulla Terra. Ora, alcuni ricercatori vogliono trasformare tale materiale genetico in poli-acidi in grado di funzionare da computer. Le prime ricerche hanno dimostrato che, mediante la creazione e la miscelazione appositamente creata con filamenti di DNA, insieme a proteine ??che ne promuovono la replica, i filamenti di DNA possono fungere da porte logiche ed eseguire operazioni booleane (AND, OR e NOR) i cui risultati sono rappresentati come un filo prodotto da due catene di DNA. I ricercatori del California Institute of Technology (CalTech) sarebbero così stati in grado di creare il computer più grande al mondo basato su DNA. Combinando 74 molecole, hanno creato un circuito di quattro bit in grado di calcolare la radice quadrata di un numero intero fino a 15. Non si tratta di un super calcolatore, la radice quadrata di un intero a quattro bit ad oggi può richiedere anche 10 ore di elaborazione, tuttavia, i ricercatori sono convinti di poter ridurre drasticamente i tempi di calcolo. In un futuro non prossimo lontano tali “computer” potrebbe essere direttamente iniettati nell’individuo ed effettuare screening diagnostici mai visti primi, nonché operare come farmaci selettivi. Fonte

TRESK, il gene responsabile delle emicranie

Scienziati dell’Università di Oxford hanno scoperto un gene, conosciuto come TRESK, responsabile del più sempre più annoso problema dell’emicrania, una patologia che ormai si stima colpisce una persona su cinque in modo ciclico. I ricercatori hanno sottoposto ad accurato test un campione di DNA prelevato da diversi pazienti affetti dal disturbo. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sul magazine scientifico Nature Medicine e sottolineano come nessuno prima d’ora era riuscito a isolare un gene responsabile dell’insorgere della cefalea, tutti gli studi precedentemente effettuati sono riusciti solo a identificare le zone del nostro Dna che aumentano il rischio generale nella popolazione. Il gene TRESK sarebbe direttamente interessato nel percorso di segnalazione chimica del potassio, che potrebbe innescare l’ipereccitabilità dei neuroni in particolare aree cerebrali. Fonte

Un test del DNA per scoprire qual è la dieta più adatta

Servono $149 per effettuare un test del DNA (in grado di individuare le mutazioni di tre geni: FABP2, PPARG e ADRB2) e scoprire così qual è la dieta più adatta alla propria persona. Il test è commissionabile all’azienda Interleukin Genetics. Come si suol dire, una dieta su misura. L’idea è balenata in mente a un gruppo di scienziati dell’Università di Stanford in California, guidati dal prof. Christopher Gardner. Il nuovo test è stato mostrato per la prima volta in occasione del congresso dell’Associazione americana di cardiologia in corso a San Francisco. Secondo quanto dichiarato dai ricercatori, è già stato sperimentato con successo su 100 donne in sovrappeso (le donne più orientate a una dieta povera di carboidrati, rispetto alle medesime donne aventi il medesimo genotipo, ma volte a seguire una dieta standard – senza test del DNA – hanno perso più del doppio del peso). I tre geni individuati sono direttamente coinvolti nel processo in cui il metabolismo della persona assimila grassi e zuccheri. Fonte e approfondimenti

Individuato il gene che caratterizza l’età di una persona

In diverse circostanze, guardando i tratti di una persona avanti con l’età ci viene spontaneo dire: ma sembra una giovincella, il suo volto non sembra affatto essere segnato dal tempo. A questo modo di dire, ora gli scienziati hanno trovato un corrispondente scientifico. Infatti, alcuni ricercatori della University of Leicester e del Kings College di Londra, in un recente studio pubblicato sul magazine Nature Genetics, dimostrano come un particolare gene del Dna umano possa incidere sull’apparenza di una persona, facendola di fatto sembrare più giovane o più in avanti con l’età rispetto a quello che realmente la sua data di nascita dimostra. I ricercatori hanno preso in esame un campione di 12.000 persone, esaminandone il loro DNA hanno notato che esiste uno stretto legame tra la lunghezza dei telomeri (la regione terminale del cromosoma) e l’età biologica di una persona. La scoperta, secondo i ricercatori sarà utilissima per identificare i pazienti che corrono rischi di sviluppare malattie legate all’invecchiamento ma anche alcune patologie del cuore e legate ad alcune tipologie di tumore. Fonte e approfondimento

Due tipi di cancro ora non hanno più segreti

Un gruppo di ricercatori inglesi del Wellcome Trust Sanger Institute di Cambridge, guidati dal prof. Mike Stratton, è riuscito a codificare il DNA completo di due tipologie di tumori, quello del polmone e della pelle. Lo studio è stato pubblicato sul magazine Nature e mostra, scientificamente parlando, come il fumo di sigarette e raggi UV siano i primi responsabili dell’insorgere della malattia. Secondo i dati della ricerca, il codice del DNA di un melanoma della pelle, contiene più di 30.000 “anomalie genetiche”, molte di queste essenzialmente dovute all’esposizione alla luce ultravioletta. Nel tumore al polmone, invece, le anomalie sono più di 23.000, molte riconducibili agli agenti cancerogeni presenti nel tabacco. La scoperta, si spera aprirà la strada a nuove terapie mirate. Fonte e approfondimento

Vino contrasta effetti collaterali della radioterapia

Uno studio condotto presso l’Università Cattolica di Campobasso dimostra come l’assunzione quotidiana di un bicchiere di vino, aiuta a tollerare meglio la radioterapia, sovente utilizzata per combattere alcune forme tumorali. Secondo i ricercatori, il vino riuscirebbe a preservare i tessuti sani, pur mantenendo inalterata l’efficacia della terapia. L’azione benefica è essenzialmente dovuta agli antiossidanti della categoria dei polifenoli. Lo studio ha preso in esame, durante un arco temporale che va dal 2003 al 2007, un campione di  348 donne malate di tumore al seno e curate mediante radioterapia. Secondo Alessio Morganti, direttore dell’Unità di radioterapia, “il consumo giornaliero moderato di vino presenta un rischio di danni cutanei mediamente inferiore del 75% rispetto ad una paziente astemia. Questo lavoro va nella stessa direzione di alcuni studi precedenti, condotti in altri laboratori internazionali, che avevano mostrato come le componenti non alcoliche del vino, soprattutto i polifenoli, abbiano la capacità di proteggere il DNA dalle radiazioni.”. Fonte

Marijuana altera DNA e contiene sostanze cancerogene

Un ulteriore studio di alcuni ricercatori dell’Università inglese di Leicester, mette in evidenza come la cannabis sia pericolosa per la salute. Nuove metodologie di analisi da laboratorio (una delle innovative tecniche è detta cromatografia liquida), mettono in evidenza come i suoi composti siano potenzialmente in grado di alterare il DNA umano, favorendo anche la formazione di tumori. Su 4.000 sostanze chimiche contenute nel fumo, 69 sono state classificate come cancerogene. La componente che più di ogni altra sembra avere maggiori caratteristiche tossiche è l’acetaldeide. Lo studio è stato pubblicato sul magazine Chemical Research in Toxicology del 15 giugno. Fonte