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Il concetto di colore esiste solo nel nostro cervello?

In un recente libro del dott. Mazviita Chirimuuta, “Outside Color”, l’autore suggerisce che il colore non esiste – almeno non in senso letterale. Esiste invece nella nostra mente, come sistema in grado di interpretare la luce.

giochi di luce
Nella foto i due blocchetti sembrano essere di un colore diverso, ma se si interpone un dito a metà dei due elementi si può vedere che sono dello stesso colore.  “Di tutte le proprietà che gli oggetti sembrano avere – scrive il professore dell’Università di Pittsburgh – “il color aleggia tra il mondo soggettivo della sensazione e il mondo oggettivo”.

Così come un sigillo posto sulla cera a caldo lascia la sua impronta, anche il colore di un oggetto lascia la sua impronta temporaneamente sul nostro occhio. Ciò significa che se stai guardando un’immagine coerente con delle esperienze passate, il tuo cervello si comporta come se gli oggetti rappresentati nelle immagini avessero i medesimi colori osservati in passato. Secondo la tesi, finché l’essere umano non familiarizza con una determinata tonalità nominandola, non la riconosce pur osservandola.

Nei testi antichi, ad esempio, non viene mai menzionato il colore blu, gli scienziati ritengono di conseguenza che i nostri antenati non hanno mai notato l’esistenza di questo colore, tant’è che secondo Kevin Loria di Business Insider, nell’Odissea, il poeta omero descrive il mare “scuro come il vino”, nessun accenno al colore blu; nel 1858 William Gladstone, che in seguito divenne il primo ministro britannico, contò i riferimenti del colore blu in tutta l’Odissea, riscontrando che il colore non era menzionato affatto: il nero viene citato quasi 200 volte, il bianco circa 100, il rosso 15 volte, giallo e verde meno di 10. Il colore blu non viene menzionano neanche nel Corano, nelle antiche storie cinesi. I Maya non distinguevano il blu dal verde e in sanscrito la parola che descrive il colore blu significa blu e nero. I primi a sintetizzare il colore blu e a utilizzarlo furono gli antichi Egizi, impiegando la sabbia del Nilo, contenente silice e calcite, sali minerali e residui di rame.

La retina artificiale creata grazie ai nanotubi di carbonio

Con il progredire degli anni il nostro corpo subisce un progressivo invecchiamento che riguarda tutti gli organi, uno dei quali è l’occhio che, in alcuni casi, subisce una forte degenerazione retinica con potenziale riduzione della vista. Tuttavia, forse, ben presto sarà possibile riparare la retina danneggiata con una sorta di protesi realizzata in laboratorio. Infatti, ricercatori della TAU (Tel Aviv University) hanno pubblicato i risultati di un interessante studio in cui dimostrano come combinando nanotubi di carbonio e nanorod è possibile creare un film flessibile, in grado di indurre l’attività neuronale in risposta alla luce e che potenzialmente potrebbe sostituire una retina danneggiata. La retina artificiale è stata sviluppata da un team internazionale guidato dalla Prof.ssa Yael Hanein della Tel Aviv University: “Rispetto alle tecnologie testate in passato, questo nuovo dispositivo è più efficiente, più flessibile e può stimolare i neuroni più efficacemente”, ha dichiarato Hanein, continuando: “La nuova protesi, rispetto ai modelli precedentemente sviluppati, è molto più compatta; inoltre, il nuovo materiale è in grado di fornire una risoluzione spaziale maggiore”.
“Siamo ancora lontani da effettivamente sostituendo la retina danneggiata”, ha dichiarato il dottor Bareket (uno dei componenti del team che ha sviluppato la retina artificiale), ma abbiamo dimostrato che questo nuovo materiale è in grado di stimolare i neuroni in modo efficiente solo impiegando la luce, senza nessuna fonte energetica esterna, una vera rivoluzione in questo ambito”.

Giochi d’azione per migliorare capacità della vista

Una recente ricerca svoltasi presso la University of Rochester e pubblicata sul magazine Nature Neuroscience, mette in evidenza come l’utilizzo di videogame d’azione aiutano a migliorare le capacità della vista in particolari condizioni ambientali, come, ad esempio, di notte o con poca luminosità, aumentando la sensibilità al contrasto cromatico. Si tratta di una scoperta che smentisce quanto si pensava finora in merito, ovvero che tale capacità poteva essere solo aumentata grazie a opportuni interventi chirurgici o tramite l’ausilio di lenti. Fonte e approfondimenti