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Un rapido esame del sangue può diagnosticare in tempo reale il danno da radiazioni

Un nuovo esame del sangue potrebbe essere un modo veloce e accurato per valutare il danno provocato al corpo da chi è stato vittima di radiazioni nocive.  I ricercatori della Harvard Medical School e del New York City Montefiore Medical Center hanno creato un metodo per identificare, da subito, i danni a lungo termine causati dalla radiazioni; il test analizza le piccole molecole conosciute come microRNA che circolano nel sangue; il MicroRNA, o miRNA, gioca un ruolo chiave nei processi che attivano o disattivano i geni e un giorno i ricercatori sperano che queste molecole si riveleranno utile come marcatori biologici per diagnosticare malattie cardiovascolari, diabete e alcuni tumori.

Alcuni degli effetti più visibili delle radiazioni sono visibili solo dopo 24 ore dall’esposizione, ma la finestra per la cura adeguata inizia a diminuire direttamente dopo l’esposizione, ecco perché essere a conoscenza del danno provocato, fin da subito, può essere utile per intervenire tempestivamente. Il documento pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine, spiega come il test sia stato effettuato con successo su alcuni topi da laboratorio: i ricercatori hanno sottoposto i topi a tre livelli di radiazione, alte, basse dosi e una dose mortale analizzando poi i livelli di MicroRNA nel sangue.

“L’analisi del MicroRNA potrebbe essere particolarmente interessante per valutare il danno al sistema ematopoietico dell’individuo, importantissimo anche per valutare le diverse opzioni di trattamento” riferisce Yoshihisa Matsumoto, un biologo presso il Tokyo Institute of Technology.

Il test è ancora in fase embrionale, bisognerà capire la sua attendibilità se applicato agli esseri umani, il team di ricerca è ben conscio delle problematiche, in merito un portavoce ha dichiarato: “L’obiettivo è adesso vedere se questi risultati sono pertinenti anche negli esseri umani”.

Tracce di radioattività nelle urine dei residenti di Fukushima

C’è una triste notizia che arriva dalla terra del Sol Levante: nell’urina dei residenti di Fukushima ci sarebbero tracce di radioattività. Secondo il The Japan Times, più di 3 mSv (Millisievert, una misura della quantità di radiazione ricevuta dalle persone) di radiazioni (cesio radioattivo) sono stati misurati nelle urine di 15 abitanti del villaggio di Iitate e la città di Kawamata. I villaggi in questione sono distanti circa 30-40Kmdal primo impianto nucleare di Fukushima. “Questo dato non deve mettere in allarme, non sarà un problema se le persone eviteranno di mangiare verdure o altri prodotti contaminati”, ha dichiarato Nanao Kamada, professore emerito di biologia presso la Hiroshima University. “In ogni caso sarà difficile per le persone continuare a vivere in queste zone”. Fonte

Radiazioni nucleari possono influire sul sesso del nascituro

Alcuni ricercatori dell’Helmholtz Zentrum München, hanno scoperto che a lungo termine, l’esposizione alle radiazioni nucleari portano a un aumento delle nascite maschili rispetto a quelle femminili. I ricercatori Scherb e Voigt hanno studiato coloro che vivono, o hanno vissuto, vicino a impianti nucleari, così come le zone colpite dalle radiazioni emesse dalle bombe atomiche di test prima del Trattato che ne bandisse l’uso nel 1963. In tutti i casi esaminati, è emerso che le nascite maschili sono state di gran lunga superiori a quelle femminili. In realtà, i ricercatori hanno scoperto che c’è stato un aumento delle nascite di sesso maschile in Europa nel 1987, un anno dopo il disastro di Chernobyl. Gli Stati Uniti, che non sono stati colpiti dal disastro nucleare, non ha subito lo stesso cambiamento delle nascite a prevalenza maschile. Inoltre, lo studio ha trovato che coloro che vivono entro 22 miglia da impianti nucleari in Germania e Svizzera hanno avuto un maggiore tasso di natalità dei neonati di sesso maschile. I ricercatori ritengono che una tale alterazione delle nascite, sia stata causata da radiazioni ionizzanti provenienti da attività nucleari; tali radiazioni possiedono caratteristiche mutagene e possono influire negativamente sulla riproduzione. “Il nostro risultato contribuisce a smentire la credenza stabilita e prevalente che le radiazioni non incidano sul pool genetico delle future generazioni”. Lo studio è stato pubblicato sul magazine Environmental Science and Pollution Research. Fonte e approfondimenti