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Multitasking. Usare l’iPhone davanti alla TV ha lo stesso effetto di una droga

Utilizzare contemporaneamente più media può essere dannoso per il cervello, questo è quanto sostengono alcuni ricercatori.

Milioni di persone regolarmente si siedono davanti al televisore e simultaneamente accedono ai social network, inviano email o navigano da smartphone e tablet. Secondo un recente rapporto è una pratica comune nel’80 per cento dei possessori di telefoni cellulare. Una pratica questa che secondo i ricercatori abbassa il proprio QI (Quoziente Intellettivo), rendendo più difficile al cervello concentrarsi su un solo aspetto e cogliere le informazioni correttamente.

I ricercatori dell’Università di Copenaghen ricordano che nella normalità, le informazioni che apprendiamo sono memorizzate nel cervello nella regione dell’ippocampo, dove sono organizzate, categorizzate e rese più facili da ricordare. Tuttavia, quando si utilizzano più gadget, le informazioni vengono inviate a un’altra parte del cervello, il corpo striato, detto anche nucleo caudale, la regione del cervello deputata alla pianificazione dei movimenti e alla motivazione, così tutte le informazioni apprese diventano molto più difficili da ricordare.

Secondo gli scienziati, ogniqualvolta si adoperano contemporaneamente più dispositivi, cercando di focalizzare l’attenzione su ognuno di essi, il cervello è “costretto” a produrre dopamina, lo stesso ormone che viene prodotto quando un individuo assume droghe. Addirittura, secondo Glenn Wilson, ex docente di psicologia della Gresham College di Londra, “le perdite cognitive da multitasking sono superiori alle perdite cognitive dei fumatori di cannabis”.

Ecco come la dopamina riesce a regolare i nostri ritmi quotidiani

Vivere una vita con pasti regolari e andare a letto presto può migliorare la salute fisica e mentale, o almeno questo è quanto scoperto da alcuni psicologi canadesi e francesi, delle Douglas Mental Health University Institute e McGill University. La ricerca è stata pubblicata sul magazine eLife.

Il nostro ciclo quotidiano di sonno-veglia durante le 24 ore è regolato da un orologio interno denominato ritmo circadiano, tuttavia, la nostra attività quotidiana è anche influenzata da ritmi molto più brevi di 24 ore, noti come ritmi ultradiani (che secondo gli studiosi si manifestano in cicli di 4 ore), periodi ricorrente o cicli ripetuti attraverso il giorno. I ritmi ultradiani di quattro ore sono alla base del perché consumiamo tre pasti regolari al giorno distribuiti in modo uniforme, e possono essere osservati in modo più lampante nei neonati, che, vista la loro giovane età, non riescono a dormire tutta la notte ma hanno periodi di sonno-veglia molto più ristretti.

Secondo gli studiosi, “oscillazioni ultradiane sono state osservate nel contesto della locomozione, nel sonno, nell’alimentazione, nell’oscillazione della temperatura corporea e nelle monoamine cerebrali in diverse specie che vanno dalle mosche della frutta agli esseri umani”.

Le quattro ore dei ritmi ultradiani sono attivate dalla dopamina; quando i livelli di dopamina non sono abbastanza sufficienti – come nel caso di persone affette da schizofrenia e disordine bipolare – le quattro ore si possono allungare fino a 48 ore creando forti disagi.

La ricerca, condotta su topi geneticamente modificati, dimostra che le anomalie del sonno, che in passato sono state associate con lo spezzarsi del ritmo circadiano, derivano invece da uno squilibrio del ritmo ultradiano basato sulla dopamina. I dati ricavati dallo studio suggeriscono che quando l’oscillatore ultradiano si blocca il sonno diventa disturbato. I risultati potranno dare un forte aiuto nel capire come trattare i disordini bipolari e altre malattie mentali legati a un non adeguato apporto di dopamina. Fonte e approfondimenti

Combattere la dipendenza da cocaina con un estratto di Pueraria

Un recente studio della Gilead Science coordinato dalla dott.ssa Lina Yao e pubblicata sul magazine scientifico Nature Medicine, dimostra come la Pueraria (conosciuta anche come Kuzdu), può essere impiegata per combattere la dipendenza da cocaina. Si tratta di una pianta leguminosa della famiglia delle Fabacee, originaria del sud ovest dell’Asia e molto diffusa negli Stati Uniti. Nelle prove di laboratorio, ad alcune cavie indotte a dipendenza da cocaina è stato poi somministrato un estratto della pianta contentenyte l’inibitore della aldeide-deidrogenasi-2 (ALDH2), constatando nei roditori un aumento dei livelli di tetraidropapaveroline (Thp), diminuendo l’effetto dopamina (provocato dalla droga). Si aspetta ora di provare il farmaco sugli esseri umani. Fonte