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I medici potranno a breve cancellare i ricordi o modificarli?

La memoria è uno degli elementi più cruciali della vita. Senza memoria, non non c’è nessun apprendimento e senza apprendimento non non c’è nessuna invenzione, progresso o civiltà. Di contro, cancellare i ricordi o modificarli, soprattutto quelli particolarmenti traumatici, potrebbe aiutare a ritrovare la funzione e la salute mentale. A tal proposito, scienziati dell’Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL), in Svizzera, guidati dal prof. Wolfram Gerstner, sono riusciti a capire come il cervello memorizza i ricordi attraverso le connessioni chiamate sinapsi, sviluppando un modello matematico per descrivere come le reti di neuroni creano i ricordi. La scoperta, dicono, potrebbe un giorno portare a tecniche in cui i medici saranno in grado di cancellare o modificare i ricordi associati ad eventi traumatici.

La plasticità sinaptica permette al sistema nervoso di modificare l’intensità delle relazioni interneuronali (sinapsi), di instaurarne di nuove e di eliminarne alcune, dando vita a quello che noi chiamiamo ricordo. Nei test gli scienziati hanno appurato che la formazione della memoria avviene seguendo una “combinazione ben orchestrata”, tale da dar vita a una sorta di algoritmo complesso in grado di rappresentare in modo accurato questo complesso fenomeno.

Tale algoritmo può essere adattato per aiutare a sviluppare strumenti che attivano nuovi ricordi nel cervello, o addirittura cancellarne di vecchi. “Se possiamo capire come le sinapsi funzionano insieme a creare o distruggere reti di memoria, possiamo impiegare questa conoscenza in campi come la cognizione e la psicoterapia” spiega Gerstner. Fonte e approfondimenti

Bere due bicchieri al giorno di succo d’arancia potenzia cervello degli anziani

Un team di ricerca dall’Università di Reading ha chiesto a 37 volontari (24 donne e 13 uomini di età compresa tra 60 e 81 anni) di bere 500ml – circa due bicchieri – di succo d’arancia ogni giorno per otto settimane. I risultati hanno dimostrato che questa pratica, in meno di due mesi, porta miglioramenti significativi nel potenziamento della memoria degli anziani sottoposti al test.

Gli scienziati hanno imputato i risultati ottenuti agli effetti benevoli che i flavonoidi – sostanze naturali presenti in alti livelli nelle arance – hanno sul nostro corpo e in particolare sul cervello. I flavonoidi, infatti, aiuterebbero ad attivare quella parte del cervello associata all’apprendimento e alla memorizzazione delle informazioni.

L’autore dello studio, il dr. Daniel Lamport spiega che “la popolazione mondiale sta invecchiando rapidamente. Le stime suggeriscono che il numero di persone di 60 anni o oltre potrebbe triplicare entro il 2100, è quindi imperativo esplorare modi semplici e convenienti per migliorare le funzioni cognitive nella vecchiaia”.

Anche se molta frutta e verdura, così come tè, cacao e vino rosso sono noti per contenere flavonoidi, le arance vantano un tipo particolarmente benefico chiamato flavanoni che secondo gli scienziati “rappresentata una tipologia di flavonoidi più facilmente assorbile”. Precedenti studi avevano già evidenziato il potenziale impatto dei flavonoidi sul cervello, ma questo è il primo ad esaminare il ruolo di quelli presenti nelle arance.

Di contro c’è anche chi suggerisce che bere molti succhi di frutta comporta un notevole innalzamento degli zuccheri, con un conseguente aumento di peso e possibile insorgenza di altre tipologie di malattie; Sian Porter, portavoce della British Dietetic Association, in merito ha riferito “i succhi di frutta contengono zucchero che non è privo di calorie. Se avete intenzione di bere succo di frutta fatelo durante i pasti, è molto meglio per la vostra salute”. Fonte per approfondimenti

Ricercatori svelano come il nostro cervello individua il sesso della persona che abbiamo dinanzi

Un team di ricercatori del MIT ha svelato come gli esseri umani e i primati possono riconoscere i volti dei loro simili e distinguere tra un volto di sesso maschile e uno di sesso femminile. Gli scienziati hanno per lungo attribuito questa capacità ai cosiddetti neuroni FD (Face Detector), ma fino ad oggi non vi era nessuna prova diretta della loro esistenza.

Lavorando con macachi addestrati per identificare correttamente le immagini delle facce maschili o femminili, i ricercatori hanno usato una proteina sensibile alla luce per inibire alcune parti del cervello dove propri i neuroni FD avrebbero dovuto agire; si è così osservato un piccolo ma significativo danno nella capacità degli animali di identificare correttamente i sessi. La tecnica utilizzata si farà all’optogenetica, una scienza che combinao tecniche ottiche e genetiche di rilevazione, al fine di identificare circuiti neuronali all’interno del cervello.

Lo studio potrebbe aiutare chi è impegnato nello sviluppo di protesi visive che richiedono un cablaggio diretto con la corteccia del cervello, nella fattispecie, capire il livello di luce necessario al “silenziamento neurale” potrebbe anche semplificare lo sviluppo di trattamenti impiantabili per chi è affetto da epilessia del lobo temporale. Uno dei ricercatori spiega: “Potremmo avere dispositivi impiantati nella corteccia che si attivano automaticamente quando inizia l’attacco di epilessia”.

Multitasking. Usare l’iPhone davanti alla TV ha lo stesso effetto di una droga

Utilizzare contemporaneamente più media può essere dannoso per il cervello, questo è quanto sostengono alcuni ricercatori.

Milioni di persone regolarmente si siedono davanti al televisore e simultaneamente accedono ai social network, inviano email o navigano da smartphone e tablet. Secondo un recente rapporto è una pratica comune nel’80 per cento dei possessori di telefoni cellulare. Una pratica questa che secondo i ricercatori abbassa il proprio QI (Quoziente Intellettivo), rendendo più difficile al cervello concentrarsi su un solo aspetto e cogliere le informazioni correttamente.

I ricercatori dell’Università di Copenaghen ricordano che nella normalità, le informazioni che apprendiamo sono memorizzate nel cervello nella regione dell’ippocampo, dove sono organizzate, categorizzate e rese più facili da ricordare. Tuttavia, quando si utilizzano più gadget, le informazioni vengono inviate a un’altra parte del cervello, il corpo striato, detto anche nucleo caudale, la regione del cervello deputata alla pianificazione dei movimenti e alla motivazione, così tutte le informazioni apprese diventano molto più difficili da ricordare.

Secondo gli scienziati, ogniqualvolta si adoperano contemporaneamente più dispositivi, cercando di focalizzare l’attenzione su ognuno di essi, il cervello è “costretto” a produrre dopamina, lo stesso ormone che viene prodotto quando un individuo assume droghe. Addirittura, secondo Glenn Wilson, ex docente di psicologia della Gresham College di Londra, “le perdite cognitive da multitasking sono superiori alle perdite cognitive dei fumatori di cannabis”.

Quanto intelligente è il tuo bambino? La risposta è nelle simmetria delle mani

Ricercatori dell’Università di Edimburgo hanno studiato 856 bambini (con età compresa tra 4 e 15 anni) rilevando digitalmente la superficie delle loro mani. Il risultato dello studio suggerisce un legame tra simmetria e risposta del cervello, nella fattispecie i bambini con mani maggiormente simmetriche reagirebbero più rapidamente ai test mentali.

Nelle prove di laboratorio, i bambini sono stati invitati a giocare a un videogame nel quale impersonavano una rana pronta a catturare le mosche che di volta in volta apparivano casualmente sullo schermo. I bambini in cui è stata rilevata maggiore simmetria delle mani hanno anche dimostrato di avere un tempo di reazione maggiore, catturando un più numero di mosche rispetto ai loro coetanei.

Studi precedenti avevano anche dimostrato che gli uomini con volto quanto più simmetrico sono più immuni al declino mentale tipico dell’invecchiamento, ma è la prima volta che l’effetto è stato registrato nei bambini.
I test suggeriscono che le esperienza vissute nella prima infanzia come quelle legate alla nutrizione, malattie, l’esposizione al fumo di sigaretta e all’inquinamento lasciano il segno nelle caratteristiche facciali delle persone. È come se il passato di ogni uomo fosse indelebilmente conservato nei tratti somatici.

Il legame tra l’esposizione allo stress nei primi anni di vita e la simmetria facciale di una persona potrebbe spiegare perché molti studi hanno verificato che le persone con facce simmetriche sono considerate più attraenti. Infatti, caratteristiche facciali non idonee, inconsciamente possono fornire un segnale che una persona è meno desiderabile proprio in virtù dello stress che questi ha vissuto nei primi anni di vita, il che potrebbe significare una maggiore vulnerabilità alle malattie.

Il professore Ian Deary, direttore del centro per l’invecchiamento cognitivo dell’Università di Edimburgo, ha dichiarato: ”la connessione tra simmetria e tempi di reazione potrebbe essere un indizio importante per la salute e il benessere nel corso della vita di una persona”, aggiungendo: “Questa scoperta può far luce su come il corpo e la mente si sviluppano parallelamente fin dall’infanzia”.

Mangiare uova rende più generosi. Lo conferma uno studio

Secondo alcuni psicologi dell’Università di Leiden, in Olanda, il triptofano – sostanza commercializzata come integratore alimentare chiamato TRP – un composto naturalmente presente anche nelle uova, può aumentare la generosità delle persone. L’aminoacido contenuto nelle uova viene convertito in serotonina, la molecola che ci aiuta a star bene con noi stessi.

I ricercatori hanno scoperto che consumare una piccola porzione di triptofano – l’equivalente di quello trovato in tre uova – ha raddoppiato nei volontari la quantità di  somma donata in beneficenza. “Per la prima volta, abbiamo verificato se la somministrazione di un composto contenuta in alimenti come pesce, uova, soia e latte può aumentare la propensione a fare beneficenza. Il nostro studio è la prima dimostrazione che la donazione caritatevole può essere rafforzata grazie alla somministrazione di integratori alimentari correlati alla serotonina – l’aminoacido triptofano contenuto nelle uova viene convertito in serotonina.” hanno commentato gli studiosi.

Gli autori dello studio hanno effettuato gli esperimenti su un campione di 32 uomini e donne; alla metà delle persone sono stati somministrati 0,8 grammi di TRP, agli altri del placebo. A ogni partecipante, come ricompensa per aver presto parte all’esperimento, sono state riconosciute $11.25; agli stessi è stato poi chiesto se fossero disposti a donare parte della loro ricompensa ad associazioni come Unicef, Amnesty International, Greenpeace e WWF. Quando i psicologi hanno contato le somme devolute in beneficenza, hanno scoperto che chi era stato sottoposto a dosi di triptofano aveva mediamente donato $1,15, mentre coloro che aveva ricevuto il placebo la metà di questa cifra.

Come l’integratore alimentare riesce ad avere un tale effetto non è ancora chiaro, ma secondo gli scienziati, l’ossitocina, il cosiddetto ormone delle “coccole” – prodotto dalle donne durante l’allattamento al seno – avrebbe un ruolo fondamentale. Secondo gli studiosi, “è molto probabile che la volontà di donare soldi in beneficenza è modulata dall’effetto che la serotonina esercita sui livelli di ossitocina”.

Ricercatori del MIT svelano interfaccia per collegare computer al cervello

La complessità del cervello umano rende estremamente impegnativo il suo studio, non solo a causa della sua vastità, ma anche per l’enorme quantità di dati che simultaneamente vengono elaborati e trasmessi. Ogni giorno la scienza cerca nuovi metodi per cercare di capire il funzionamento di quest’organo e così agire per combattere talune patologie.

Proprio in questi giorni ricercatori del MIT hanno fatto sapere di aver messo a punto una fibra sottilissima – meno dello spessore di un capello – in grado di “interfacciarsi” con il cervello inviandogli segnali ottici e farmaci, gestibile dall’esterno mediante opportuni computer in grado di controllarla. Una scoperta che potrebbe portare allo sviluppo di dispositivi per il trattamento di patologie quali il morbo di Parkinson.

Le nuove fibre sono costituite da polimeri che assomigliano molto alla struttura dei tessuti neurali. Oltre a fornire segnali ottici e farmaci direttamente nel cervello, la fibra consente anche di monitorare costantemente le funzioni del cervello e potrebbe consentire una mappatura precisa dell’attività neurale. Non solo, la fibra può essere impiegata restando nel cervello molto tempo senza danneggiare i tessuti delicati che li circonda, qualcosa di molto più sofisticato degli ingombranti elettrodi finora impiegati.

“Stiamo costruendo interfacce neurali, morbide e flessibili, che interagiscono con i tessuti in modo più organico rispetto ai dispositivi che sono stati utilizzati in precedenza” riferisce Polina Anikeeva del MIT. “I dispositivi attualmente impiegati per la registrazione e stimolazione neurale” spiega Anikeeva, “sono fatti di vetro, semiconduttori e metalli che possono danneggiare i vicini tessuti durante il normale movimento”.

I ricercatori fanno sapere che si tratta di un primo passo dello sviluppo di questa tecnologia  e che serviranno ancora diversi test prima di poter proporre la fibra per l’impiego su larga scala.

Il curry per aiutare a dimenticare i brutti ricordi

Alcuni scienziati hanno scoperto che la curcumina, principale componente biologicamente attiva della curcuma, ed elemento principale del curry, aiuta a dimenticare i brutti ricordi, rimuovendo anche la memoria da paure pre-esistenti. Lo studio è stato compiuto da alcuni psicologi della “The City University of New York” e ha visto protagonisti alcuni topi da laboratorio.

Le cavie sono state addestrate ad avere paura di uno specifico suono. Nei test gli scienziati hanno appurato che facendo ascoltare ai ratti il medesimo suono dopo una dieta ricca di curcumina, il loro atteggiamento era completamento diverso dai ratti che avevano assunto cibi senza curcumina; nella fattispecie gli animali che si erano cibati con cibi a base di curcumina non reagivano al suono impaurendosi, come se qualcosa avesse cancellato loro il brutto ricordo di quel suono. Il professor Glenn Schafe, che ha condotto lo studio, ha dichiarato: ”lo studio suggerisce che persone affette da disturbo post-traumatico da stress e altri disturbi psicologici caratterizzati da ricordi paurosi possono beneficiare sostanzialmente di una dieta arricchita di curcumina”.

I ricordi si formano nel cervello come nuove connessioni tra i neuroni, si tratta inizialmente di connessioni deboli che però gradualmente si stabilizzano fino a consolidarsi nella memoria a lungo termine; secondo i risultati della nuova ricerca la curcumina impedisce proprio il riconsolidamento dei brutti ricordi.

La curcumina è anche nota per avere un effetto antinfiammatorio sul corpo, spiega Schafe che i “processi infiammatori sono coinvolti in una vasta gamma di patologie, che vanno dalle allergie alle malattie cardiovascolari, fino al morbo di Alzheimer” e continua: “i processi infiammatori sono anche coinvolti disturbi psicologici come depressione, ansia e disturbo da stress post-traumatico”.

Non ricordi il pin del bancomat? Secondo gli scienziati basta chiudere gli occhi per ricordarlo

Alcuni ricercatori dell’Università del Surrey, in seguito a uno studio, sostengono che chiudere gli occhi potenzia le attività del cervello in tutte quelle fasi in cui è necessario ricordare qualcosa. I partecipanti allo studio, che hanno messo in atto questa semplice ma fruttuosa tecnica, hanno fatto segnare 23 punti percentuali in più su un test di memoria rispetto alle persone alle quali non è stato chiesto di chiudere gli occhi per ricordare qualcosa.

Nella fattispecie, gli psicologi hanno mostrato a quasi 200 uomini e donne alcuni cortometraggi con e senza audio, facendo poi loro una serie di domande su ciò che avevano visto; a metà dei partecipanti le domande sono state poste nella condizione di occhi chiusi. Coloro che hanno tenuto gli occhi aperti rispondendo alle domande hanno ottenuto in media solo il 48 per cento delle risposte giuste – un punteggio molto più basso rispetto al 71 per cento raggiunto da coloro che avevano chiuso gli occhi.

Secondo gli scienziati, chiudendo gli occhi il cervello è meno impegnato ad analizzare fattori esterni e può “concentrarsi” meglio su cosa ricordare; sebbene nel test sia stato chiesto di ricordare cose recepite pochi minuti prima, altri studi suggeriscono che il metodo è altrettanto infallibile anche quando si cerca di ricordare eventi che risalgono a diversi anni fa. In buona sostanza la tecnica migliora la memoria, consentendo alle persone di costruire un’immagine mentale dettagliata di ciò che stanno cercando di ricordare.

Secondo il ricercatore Robert Nash la tecnica non è nuova, ad esempio le forze di polizia, sono da tempo consapevoli dei benefici di chiedere testimoni oculari di chiudere gli occhi durante le interviste. Ma non solo, inconsapevolmente – continua Nash, molti di noi quotidianamente traggono beneficio dal chiudere gli occhi solo per ricordare il pin del bancomat, fare mente locale sulla lista della spese o focalizzare l’attenzione su qualunque altra cosa da ricordare.

Altre ricerche in merito
Lo scienziato cognitivo Art Markman, spiega che il nostro cervello elabora tonnellate di informazioni; decifrare tutto ciò che si vede richiede molta potenza di elaborazione da parte della mente, chiudere gli occhi, fissare il cielo o il soffitto, aiuta il cervello a “rilassarsi”, concentrandosi su cosa ricordare piuttosto che elaborare gli input visivi;
lo stesso concetto vale per gli altri sensi. Se si sta cercando di ricordare un suono o la voce di qualcuno, i rumori percepiti dal nostro orecchio rendono il processo più difficile. Questo è il motivo per cui, ad esempio, si può avere difficoltà a scrivere quando gli altri stanno parlando. In sostanza, quando si ha bisogno di ricordare qualcosa, è necessario isolare il senso rilevante.

Un’altra ricerca svolta da psicologi e neuroscienziati dell’Università di Edimburgo, in Scozia, dimostra che far riposare la mente aiuta a fissare meglio le informazioni percepite. In un test gli scienziati hanno chiesto a un gruppo di uomini e donne di seguire un racconto, quindi rilassarsi, prendere una breve pausa e chiudere gli occhi per 10 minuti in una stanza buia. Agli stessi partecipanti è stata poi proposta un’altra storia ma invece di incentivare il riposo è stato chiesto loro di svolgere un altro compito impegnativo per la mente: individuare le differenze tra alcune coppie di immagini quasi identiche.
I ricercatori hanno così appurato che i partecipanti allo studio ricordano molti più dettagli di qualsiasi storia loro raccontata se questi, dopo aver udito il racconto, si sono rilassati non impegnando il loro cervello in altre attività, sorprendentemente scoprendo che i loro ricordi sono ancora vividi anche dopo una settimana.
Una scoperta che dovrebbero tenere in forte considerazione gli studenti o tutte quelle persone a cui è richiedo l’apprendimento di nuove nozioni.

Imparare una seconda lingua, anche in età avanzata, protegge il nostro cervello dall’invecchiamento

Alcuni ricercatori dell’Università del Kent (Inghilterra) hanno studiato le scansioni cerebrali di 20 persone – vissute in Gran Bretagna per almeno 13 mesi – tutte intorno ai 30 anni di età e che avevano iniziato l’apprendimento dell’inglese come seconda lingua intorno ai 10 anni. Le immagini sono state confrontate con quelle di 25 persone di età simile ma che parlavano solo inglese. Nelle persone bilingue lo studio ha rilevato miglioramenti nella struttura della materia bianca del cervello, con una spiccata presenza nelle aree preposte al linguaggio, apprendimento e semantica.

Insomma, imparare una secondo lingua è stato riconosciuto essere un ottimo metodo per aumentare le capacità mentali e lo studio suggerisce che gli effetti si estendono a coloro che iniziano l’apprendimento dall’età di 10 anni in poi e non sono nella primissima infanzia.

Christos Pliatsikas della scuola di Psicologia dell’Università del Kent, promotore dello studio ha spiegato: “L’utilizzo quotidiano di più di una lingua funziona come un’intensa stimolazione cognitiva che avvantaggia le strutture del cervello relative al linguaggio, preservandone l’integrità, e quindi proteggendo dal deterioramento in età più avanzata”

“Il nostro studio dimostra che il bilinguismo, anche quando viene acquisito in età adulta, possa preservare il cervello dall’invecchiamento” sostengono gli autori dello studio.

Il cervello compie bene solo due compiti per volta

Grazie a uno studio condotto presso l’Institute National de Sante et de la Recherche Medicale e dall’Etienne Koechlin dell’Ecole Normale Superieure, due istituti di Parigi, si è appurato che il nostro cervello riesce a compiere bene solo due compiti per volta, azionando i due lobi che si “concentrano” ognuno su un singolo problema. Per giungere a tale conclusione, il prof. Sylvain Charron, si è avvalso della risonanza magnetica funzionale, riuscendo così a tenere sotto controllo il cervello di alcuni volontari sottoposti a un test in cui gli stessi erano chiamati ad abbinare delle lettere. Si è appurato che nei soggetti che si concentravano su un singolo problema, i due lati del cingolato anteriore dorsale e della corteccia premotoria si attivavano, contrariamente a quando i volontari erano impegnati in contemporanea alla risoluzione di più quesiti. In questo caso, le regioni cerebrali di sinistra manifestavano un’attività corrispondente al compito principale, quella delle zone a destra erano relative all’esercizio secondario. La ricerca è stata pubblicata sul magazine scientifico Science.

Donne più abili degli uomini nel capire prima gli errori

Un recente studio condotto presso il CNR e in collaborazione con l’Università di Milano-Bicocca, mostra come le donne siano più pronte a percepire gli errori rispetto agli uomini, più lenti nel carpire se c’è qualcosa che non va. Per giungere a tale conclusione, sono stati presi in esame 23 studenti universitari, agli stessi è stato chiesto di osservare e riconoscere 260 immagini, al fine di valutare l’attività cerebrale, monitorata grazie all’impiego di 128 sensori. Dal test è emerso che dei 23 candidati, la percentuale di donne è stata nettamente più in gamba; scientificamente, le donne hanno manifestato un’attivazione più veloce dei neuroni specchio (che si attivano selettivamente quando si compie un’azione), collocati nelle aree cerebrali in cui prevale l’affettività, ovvero la corteccia cingolata e il sistema limbico. Negli uomini, invece, la prima ad attivarsi è stata l’area più razionale, la corteccia orbitofrontale. Lo studio è stato pubblicato sul magazine scientifico Neuropsychologia.

L’Alzheimer si diagnostica con un l’esame della retina

Francesca Coredeiro , studiosa dell’University College di Londra in una recente intervista ha parlato di una nuova metodologia che consente di diagnostica l’Alzheimer grazie a un esame ottico. Il test, che presumibilmente sarà disponibile entro i prossimi cinque anni, permetterà così di scoprire i potenziali pazienti prima ancora che la malattia si manifesti nei suoi classici sintomi. L’esame prevede l’impiego di una sostanza fluorescente in grado di rivelare, a contatto con la retina, eventuali cellule cerebrali morte. Coredeiro  sottolinea, infatti, che la retina rappresenta una chiara mappa del cervello e quindi può rivelare diversi  particolari dello stesso. Fonte Ansa.

Ricordi falsati se cervello sottoposto a stress

Secondo uno studio pubblicato sul magazine scientifico Trends in Cognitive Science, il cervello, se sottoposto a pratiche coercitive, può addurre falsi ricordi. E così, pratiche di torture atte a far scaturire la verità in persone come presunti terroristi, omicidi e via dicendo, potrebbero essere del tutto falsate; lo stato di stress indurrebbe il cervello a proporre all’individuo ricordi di fatti e situazioni mai avvenuti. Lo studio, ha analizzato le metodologie adottate dall’esercito americano per interrogare i sospetti terroristi: privazione del sonno, isolamento, simulazione dell’annegamento.

Con l’orecchio destro si ascolta meglio

Una ricerca tutta italiana, condotta dai ricercatori Luca Tommasi e Daniele Marzoli dell’Università Gabriele d’Annunzio di Chieti, dimostra la diversa sensibilità dell’orecchio destro, dovuta essenzialmente a una questione di asimmetria cerebrale, ovvero lo stesso fattore che determina l’uso della mano destra o della sinistra. Così come la maggior parte delle persone predilige l’uso della mano destra, così l’orecchio destro sembra essere maggiormente propenso a recepire i suoni.

Alcol colpisce il cervello in sei minuti

Per la prima volta un team di ricercatori della Heidelberg University Hospital in Germania, ha appurato la tecnica che l’alcol utilizza per provocare cambiamenti nelle cellule del cervello umano. Solo sei minuti dopo che aver consumato una quantità di alcol equivalente a tre bicchieri di birra o due bicchieri di vino, l’alcol nel sangue aumenta dello 0,05 per 0,06 per cento, un livello che pregiudica la capacità di guidare, ma non induce gravi intossicazioni. Otto maschi e sette femmine volontari hanno preso parte a un esperimento in cui si beveva un determinato quantitativo di bevande alcoliche, un particolare scanner cerebrale ha permesso agli scienziati di esaminare i minuscoli cambiamenti nella struttura del tessuto di cellule cerebrali, appurando come le sostanze chimiche che normalmente proteggono le cellule cerebrali, in presenza di alcol vengono drasticamente ridotte. Il test ha altresì appurato che il cervello di uomini e donne reagisce allo stesso modo. Il dr. Biller, a capo del progetto, ha dichiarato: “Il giorno successivo all’assunzione di alcolici, i cambiamenti avvenuti nel cervello, dopo un consumo moderato di bevande alcoliche, e da parte di persone sane e non assuefatte dall’alcol, sono completamente reversibili”. La ricerca è stata pubblicata sull’attuale numero del magazine Journal of Cerebral Blood Flow and Metabolism

Sognare aumentare la creatività

Una recente ricerca svoltasi presso l’Università di San Diego,  coordinata dalla d.ssa Sara Mednick, ha messo in evidenza come i sogni aiutano a sviluppare la creatività di una persona. Durante la cosiddetta fase REM (Rapid eyes movement) del sonno, il cervello si pone in condizione di massimizzare la capacità creative. Il veloce movimento oculare aiuta a raggiungere soluzioni a problemi che richiedono l’associazione di idee, concetti e parole tra loro scollegate. La ricerca è stata pubblicata sul magazine scientifico Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS).

Vecchi a 27 anni, il declino del cervello inizia a questa età

Le potenzialità del cervello iniziano a diminuire a soli 27 anni, dopo aver raggiunto il massimo picco a 22, età che segna così l’inizio dell’invecchiamento cerebrale. Ad attestarlo un professore della Virginia University, Timothy Salthouse, che  in sette anni di studio ha analizzato il cervello di 2000 persone tra i 18 e i 60 anni, giungendo al risultato che la velocità di pensiero inizia a declinare già dopo i 20 anni. Ecco perché occorre ricorrere a terapie che invertono il processo di invecchiamento già in giovanissima età. Per testare l’agilità mentale, i partecipanti hanno dovuto risolvere puzzle, ricordare parole e dettagli di storie vissute, riconoscere schemi di lettere e simboli. Il calo naturale di alcune delle nostre capacità mentali inizia quindi molto prima di quanto si possa credere. In nove prove su dodici, l’età media in cui si è raggiunto il massimo delle prestazioni è stata a 22 anni. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista “Neurobiology of Aging

Dieta mediterranea preserva funzionalità del cervello

Uno studio pubblicato sulla rivista Archives of Neurology ancora una volta elogia le bontà della Dieta Mediterranea. Secondo quanto scoperto, la stessa avrebbe un ruolo determinante nel prevenire  non solo malattie cardiovascolari, tumori e altre malattia, ma anche nel preservare le funzionalità del nostro cervello. Non solo, la dieta mediterranea ridurrebbe anche la percentuale di ammalarsi di Alzheimer. La ricerca, durata quattro anni e mezzo, è stata compiuta tenendo sotto osservazione 1393 persone senza disturbi al cervello e altre 482 con declino mentale non particolarmente accentuato. In tutti i pazienti, un regime alimentare orientato alla dieta mediterranea ha dato buoni risultati, sia per quanto riguarda la prevenzione, sia per il non peggioramento delle condizioni. In ogni caso, gli studiosi, tengono bene a sottolineare che non bisogna affatto pensare che er sconfiggere tali malattie basti solo un dieta sana ed equilibrata, si tratta solo di un fattore; c’è infatti da mettere anche in conto l’eta del paziente, la sua predisposizione genetica, stili di vita etc. Link per approfondimenti