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Polistirolo da imballaggio si trasforma in batteria per il tuo smartphone

Presso la Purdue University (nell’Indiana – Stati Uniti), Vilas Pol e il suo team di ricerca hanno messo a punto un interessante metodo che trasforma i piccoli pezzi di polistirolo che solitamente troviamo negli imballaggi, in materiale che può essere utilizzato per la fabbricazione di batterie ad alte prestazioni. Il risultato del progetto è stato mostrato in occasione del Meeting Nazionale della American Chemical Society (ACS).

Durante i test, le batterie messe a punto con questa nuova tecnica hanno conservato il 15 per cento in più della potenza rispetto alla tecnologia attuale, arrivando addirittura a sovraperformare le batterie simili in grafite.

Queste batterie, oltre a garantire più autonomia, sono anche meno ingombranti di quelle classiche, con una capacità di stoccaggio di 420 mAh per grammo. In confronto, la batteria di un iPhone 6, il cui peso è di 28 grammi, ha una capacità di stoccaggio totale di 1810mAh, mentre la capacità teorica della grafite è di 372 mAh/g.

I blocchetti di imballaggio vengono ridotti in micro-fogli e nanoparticelle di carbonio grazie all’impiego di temperature di 2200 gradi centigradi, poi vengono utilizzati come anodi per le batterie al litio. Vilas Pol spiega: “Ho guardato l’imballaggio di alcuni attrezzi del mio laboratorio e il mio pensiero è balenato al fatto che sarebbe stato un enorme errore buttarli via danneggiando l’ambiente, così ho cercato un metodo per riutilizzarli”

Vinodkumar Etacheri, del laboratorio guidato da Vilas Pol, spiega che il materiale per imballaggi occupa molto spazio, facendo lievitare i costi del trasporto verso i centri di smaltimento: “Viene riciclato appena il 10 per cento circa di questo materiale”. Secondo gli studiosi, le prime batterie che si basano su questa nuova fonte energetica potranno essere commercializzate entro due anni.

Cambiare colore degli occhi definitivamente. Ecco la nuova tecnica

Str?ma Medical, una società californiana dichiara di riuscire a cambiare colore degli occhi trasformando qualunque tonalità scura in azzurro, il costo sarebbe di 5000 dollari. Una tecnica radicale premetterebbe di modificare in modo permanente il colore dell’iride grazie a un laser a bassa energia applicato sull’occhio per trenta secondi e in grado di rimuovere il primo strato di colore presente sulla superficie dell’iride. Dopo due settimane dall’intervento la società si dice sicura che il paziente si ritroverà con gli occhi blu. A un primo test pare siano stati sottoposti 17 pazienti messicani e 20 del Costa Rica, anche se la tecnica, in fase di sperimentazione clinica, ha già sollevato diverse preoccupazioni, come ad esempio quella di bloccare i canali di drenaggio dell’occhio facendo aumentare la pressione oculare, patologia che potrebbe portare all’insorgenza del glaucoma. L’azienda si dice non preoccupata e che i test svolti sfatano ogni illazione di questo tipo. In ogni caso la sperimentazione continuerà e l’azienda spera di riuscire a provare la tecnica su un totale di 100 pazienti.

“Sotto ogni occhio marrone si nasconde un occhio blu”, ha dichiarato il dottor Gregg Homer, Presidente e direttore scientifico della Str?ma Medical che continua: “L’unica differenza tra le due colorazioni è che un occhio marrone ha un sottile strato di pigmento che copre l’iride blu”. Proprio in considerazione di questo, un laser con una specifica frequenza passa attraverso la cornea dell’occhio, assorbendo selettivamente il pigmento scuro che copre l’iride. Ciò induce il corpo a mettere in atto un graduale processo di rimozione del tessuto naturale, una volta che il tessuto è stato completamente rimosso, il paziente si ritroverà con l’occhio di colore azzurro. Fonte e approfondimenti

Hi tech. Una pelle che cambia colore come un camaleonte

Prendendo spunto da quanto avviene in natura, alcuni ingegneri hanno creato un materiale incredibilmente sottile e che può cambiare colore “su richiesta”. Sviluppato dagli ingegneri dell’Università della California a Berkeley, questa camaleontica sorta di pelle artificiale hi tech cambia colore a seconda della forza che gli viene applicata.

Questo nuovo materiale permette di creare nuove tecnologie anche in grado di rilevare difetti altrimenti impercettibili in edifici, ponti e aerei (la pellicola di silicone messa a punto dagli scienziati potrebbe segnalare – cambiando colore – qualsiasi tipo di danno o stress strutturale), così come essere impiegato nel settore dell’intrattenimento e della mimetizzazione oppure nei futuri display.

“È la prima volta che qualcuno crea una pelle camaleontica flessibile che può cambiare colore semplicemente flettendola” ha dichiarato Connie J.Chang-Hasnain, un membro del team di lavoro e co-autore dello studio pubblicato sul magazine scientifico Optica.

I colori che osserviamo in tessuti e sostanze naturali sono frutto della composizione chimica unica di ogni superficie, che assorbe diverse bande e lunghezze d’onda della luce. Le onde non assorbite dal materiale vengono riflesse con lunghezze d’onda più corte, facendo assumere agli oggetti una tonalità che tende al blu, viceversa, le grandi lunghezze d’onda conferiscono colorazioni verso il rosso, cosicché tutte le lunghezze d’onda che stanno nel mezzo possono far assumere agli oggetti qualunque tipo di colorazione. Variando la composizione chimica del materiale cambia così anche il colore che esso riproduce, un chiaro esempio lo osserviamo, ad esempio, nelle foglie che, nella stagione autunnale, cambiano colore.

Recentemente, gli scienziati hanno però esplorato un altro approccio, quello di creare colori senza l’utilizzo di pigmenti e coloranti chimici. Piuttosto che controllare la composizione chimica di un materiale, hanno inciso su una pellicola di silicio mille volte più sottile di un capello, poggiata su uno strato flessibile di silicone, minuscole strutture simili a barre, più piccole della lunghezza d’onda della luce. Tali barre, riflettono una particolare lunghezza d’onda della luce consentendo di “scegliere” il colore desiderato; ciò è possibile modificando gli spazi tra le barre, processo che avviene semplicemente piegando il materiale.

PancakeBot. La stampante 3D per i tuoi pancake

PancakeBot è un progetto partito su Kickstarter, una delle più famose piattaforme di crowfunding, si tratta una stampante in grado di produrre pancake di qualunque forma. Si, avete capito bene, la stampa tridimensionale entra anche in cucina con un nuovo dispositivo. La stampante 3D permette di trasformare, tramite apposito software fornito a corredo, qualunque immagine presente sul PC/Mac in un pancake pronto da gustare. Oltre al software la casa produttrice mette a disposizione una serie di immagini pre-caricate pronte da stampare. La stampante è in grado di produrre pancake con una dimensione massima di 16”x8.3″. Il progetto ha finora raccolto oltre 68mila dollari dei 500mila previsti. Pagando una free di 179 dollari, qualora il progetto raggiungesse il budget stimato, sarà possibile aggiudicarsi una stampante completa. La commercializzazione avverrà a luglio di questo anno.

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Solar Impulse 2. Parte il volo intorno al mondo del primo velivolo a energia solare

André Borschberg e Bertrand Piccard hanno deciso di volare con il loro Solar Impulse 2, un velivolo che si alimenta solo tramite l’energia solare, intorno al globo (il giro del mondo sarà completato in 12 tappe, l’ultima in estate). Due anni fa riuscirono a sorvolare tutta l’America, questa volta con innumerevoli variazioni al loro velivolo, contano di spingersi oltre. Sono decollati oggi da Abu Dhabi.

Il velivolo con telaio ultra-leggero in carbonio, che tanto somiglia a una libellula, grazie a speciali batterie in grado di immagazzinare l’energia solare, riesce a volare anche di notte e in condizioni meteo senza sole. Il Solar Impulse 2 manterrà una velocità costante di circa 20 nodi, sarà quindi molto più lento di un qualunque altro aereo, persino di un’automobile che potrebbe percorrere le stesse tratte in minor tempo.

Un WC è direttamente incorporato nel sedile del pilota, ciò consente lunghe tratte di volo (quella più lunga prevista è di cinque giorni), anche se, ovviamente, il tutto risulta davvero poco comodo.

Celle a combustibile microbiche per ricaricare il telefono con l’urina! Ecco il water che produce energia

Un prototipo di toilette che genera elettricità grazie all’urina è stata installata in un bar universitario del campus Frenchay, a Bristol in Inghilterra. Il water è frutto della collaborazione tra ricercatori dell’Università del West of England. Il funzionamento è semplice: sono state impiegate celle a combustibile microbiche (MFC); i microbi in questione si nutrono di urina rilasciando energia biochimica che viene trasformata in energia elettrica. Tecnicamente gli scienziati hanno depositato dei batteri su appositi anodi in fibra di carbonio all’interno di cilindri in ceramica, al passaggio dell’urina nei cilindri, i batteri si “azionano” degradando gli zuccheri e gli altri elementi chimici presenti ottenendo il rilascio di energia.

Agli studenti e al personale addetto è stato chiesto di utilizzare l’orinatoio per “donare pipì” in grado di alimentare le celle che generano energia elettrica per l’illuminazione delle aree circostanti. Il progetto mira a creare fonti energetiche alternative in tutti quegli ambienti dove l’energia elettrica non è sempre disponibile, ad esempio nei campi profughi.

Questa tipologia di celle non è nuova alla comunità scientifica, il loro primo utilizzo risale a circa 100 anni fa e già nel 1960 la NASA iniziò i primi esperimenti per generare energia nello spazio impiegando proprio queste tipologie di celle. Il boom del loro utilizzo arriva però negli anni 2000, dove scienziati e ricercatori sono stati chiamati a cercare nuove soluzioni di fonti rinnovabili di energia.

Il team di ricerca più famoso al mondo sulle MFC è condotto dal professore Ioannis Ieropoulos, del Bristol Robotics Laboratory – sostenuto dalla Bill & Melinda Gates Foundation – Ieropoulos spiega: “una cella a combustibile microbica costa circa $1.5, una toilette come quella che abbiamo installato potrebbe costare appena 900 dollari, fornendo però una fonte di energia inesauribile”, infatti i batteri sono in grado di auto-rigenersi, innescando un processo che possiamo definire “eterno”. Sempre Ieropoulos spiega che “l’urina è chimicamente molto attiva, ricca d’azoto e di altri composti come l’urea, il cloruro, potassio e bilirubina, un mix perfetto per alimentare celle a combustibile microbiche”.

Un paio di anni fa lo stesso gruppo di ricercatori aveva dimostrato che si può alimentare uno smartphone con l’urina. Impiegando sempre le celle a combustibile microbiche (MFC) gli scienziati sono riusciti a generare abbastanza energia per alimentare uno telefono cellulare. Il team ha ipotizzato che se le celle fossero impiegate in un villaggio di 2.500 persone, nel quale tutta l’urina prodotta venisse convogliate, si arriverebbe a generare 12 kWh di energia elettrica al giorno, il tutto in modo completamente gratuito.

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D Free. Un dispositivo che indica in anticipo la necessità di andare in bagno

La società giapponese Triple W, con sede a San Francisco, ha creato un “allarme WC” indossabile battezzato D Free. Si poggia sopra l’ombelico e monitora l’attività dell’intestino, quando è l’ora di fare i propri bisogni un’apposita app avvisa l’utente con 10 minuti di preavviso. La stessa app, in aggiunta, consente di tenere traccia di quante volte ci si è recati in bagno. Dovrebbe costare intorno i 50 dollari, mentre per la commercializzazione sarà necessario attendere il prossimo dicembre 2015. I suoi inventori spiegano:  “Il semplice dispositivo permette di sapere quando c’è bisogno di andare al bagno, segnalandolo prima che realmente si avverti lo stimolo”. Non è ben chiaro come funzioni, certo è che riesce ad anticipare quando è il momento di recarsi in bagno, evitando così il sopraggiungere di coliche improvvise. Il sistema analizzi i movimenti del ventre, adattandosi nel tempo al corpo di chi lo indossa, così da sapere riconoscere ogni contrazione della pancia e fornire informazioni sempre più accurate.

Secondo i suoi inventori il dispositivo si rivelerà particolarmente utile per le persone anziane che soffrono di incontinenza, disfunzioni intestinali, disabili che hanno bisogno di tempo prima di poter espletare i loro bisogni.

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Stampa 3D. Ingegneri australiani creano il primo motore aereo jet al mondo

Ingegneri della Monash University in Australia e dell’Amaero Engineering hanno stampato in 3D il primo motore aereo jet al mondo. I ricercatori hanno smontato un motore esausto e iniziato la riproduzione pezzo per pezzo di uno nuovo motore meno costoso nella realizzazione, più leggero e più efficiente nei consumi.

Per stampare in 3D un primo motore il team di ricercatori ha impiegato circa un anno; un secondo esemplare è stato invece realizzato in tre mesi, quest’ultimo è attualmente esposto presso l’Australian International Airshow a Avalon (Melbourne). I ricercatori stanno lavorando a un terzo motore che utilizza materiali ancora più leggeri. La nuova tecnologia consentirà anche la produzione di componenti e parti di ricambio nel giro di giorni invece dei classici mesi.

Amaero Engineering spera di riuscire ad avere una certificazione sulle produzione entro i prossimi tre anni, nel frattempo l’azienda ha stipulato contratti con Boeing e Airbus per testare ed esplorare il mondo della stampa 3D nel contesto aerospaziale.

Simon Marriott, CEO di Amaero Engineering, in una dichiarazione rilasciata a Reuters spiega: la nostra tecnologia “consentirà alle aziende aerospaziali di ridurre i loro cicli di sviluppo, stiamo infatti ottimizzando i tempi realizzando prototipi di motori tre o quattro più velocemente del normale”.

La stampa 3D, oltre a velocizzare i tempi di produzione, permette agli ingegneri di progettare soluzioni più complesse che sarebbe complicato realizzare con la classica linea di produzione. Per stampare i motori 3D è stato impiegato un laser ad alta potenza che fonde polveri di alluminio, titanio, nichel e altri materiali che, sciolti, vengono depositati strato dopo strato fino al completamento del modello.

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Per la realizzazione dei motori i ricercatori avrebbero impiegato una stampante 3D Concept Laser x line 1000R, la più grande macchina al mondo per fusione laser selettiva che offre un campo di lavoro di 630x400x500 mm.

Ultrasuoni e smartphone. Controllare il telefono con semplici gesti delle mani

La tecnologia messa a punto dalla norvegese Elliptic Labs permette di captare i movimenti delle mani in aria e tradurli in operazioni da compiere su qualunque dispositivo mobile. Sarà così possibile indicare allo smartphone (distante fino a un massimo di due metri dall’utente) di sfogliare la proprio libreria di immagini o musica, riprodurre un video, alzare o abbassare il volume o, ancora, predisporre la fotocamera per scattare una foto.

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Alla base del sistema utilizzato da Elliptic Labs ci sono gli ultrasuoni. L’ecolocalizzazione viene utilizzata per capire la gestualità delle mani e quindi azionare determinate funzionalità dello smartphone. Nella fattispecie, gli ultrasuoni vengono generati direttamente dagli altoparlanti integrati degli smartphone e tablet, quindi vengono propagati in aria. Rimbalzando contro le mani ripercorrono il percorso inverso dove vengono captati dai microfoni; un’app, quindi, analizza i dati ricevuti e traduce il tutto in comandi specifici. Un modus operandi molto simile a quello utilizzato dai pipistrelli, che utilizzano l’ecolocalizzazione per spostarsi da un punto all’altro.

I gesti compiuti dagli utenti possono essere riconosciuti entro un raggio di 180 gradi rispetto alla posizione del dispositivo mobile. Elliptic Labs spera di lanciare la tecnologia già a partire da quest’anno.

Ro-Bow, il robot che suona il violino

Seth Goldstein, un ingegnere in pensione, è il papà del primo robot al mondo in grado di suonare il violino. È stato battezzato Ro-Bow, è costituito da un violino, arco e dita robotiche manipolate da attuatori elettromagnetici controllati da una tastiera elettronica.  Qualunque melodia viene fornita dalla tastiera può così essere suonata dal robot musicale. L’arco può muoversi su e giù, invertire la direzione e compiente movimenti così come un normale violinista potrebbe fare. Gli attuatori si comportano proprio come le dita umane e sono in grado di tenere premute diverse combinazioni di stringhe. Seth Goldstein ha anche creato con un software per controllare ogni aspetto del robot.

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Kyocera rivela smartphone a energia solare

La durata della batteria degli smartphone è un problema annoso, per risolverlo sono nate soluzioni di batterie portatili, i cosiddetti Power Bank  e soluzioni come il Kraftwerk, il caricabatteria che funziona senza energia elettrica e si ricarica in 3 secondi, ma Kyocera va oltre e, in occasione del Mobile World Congress 2015 (che si terrà dal 2 al 5 marzo a Barcellona), rivelerà un prototipo di smartphone a energia solare.  Lo smartphone, resistente all’acqua, è stato pensato per gli sport estremi e per l’utilizzo in attività all’aperto.
La ricarica solare non è esattamente una tecnologia nuova per i dispositivi mobile, ma fino ad oggi prevedeva l’utilizzo di case ingombranti da affiancare allo smartphone stesso. Kyocera, invece, proporrà una soluzione integrata nello smartphone, nella fattispecie nel display del dispositivo utilizzando un pannello trasparente battezzato “Wysips Crystal” – posto sotto il touchscreen dello schermo – e prodotto da SunPartner Technologies.

SunPartner non entra nei dettagli della tecnologia, ma descrive tutti i vantaggi nell’utilizzare pannelli di tipo “Wysips Crystal” nei dispositivi mobili, soluzione che sfrutta una combinazione tra sistema ottico e fotovoltaico. Il “Wysips Crystal” si contraddistingue per il suo esiguo spessore (? 0,5 mm), trasparenza (fino al 90 per cento, preservando la qualità visiva e funzionale), flessibilità (può facilmente adattarsi anche a superfici curve), e potenza (fino a 5 milliwatt di picco per ogni centimetro quadrato).

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Per ricaricare lo smartphone rimasto a corto di energia basterà quindi “illuminare” il display del dispositivo. Tuttavia, riponendo le componenti di ricarica solare sulla parte superiore si creerebbe una sorta di super irraggiamento della parte che SunPartner sta cercando di dissipare nel migliore del modo, cosicché da non creare pericolosi surriscaldamenti.

Hello Sense. Il dispositivo che ti dice come migliorare il sonno

Si chiama Sense, è un dispositivo hardware e software prodotto dall’azienda Hello con a capo James Proud, ventitreenne londinese. La sua particolarità è quella di riuscire ad analizzare l’ambiente in cui ci si addormenta e suggerire utili consigli su come migliorare il sonno. Il dispositivo, presentato qualche mese sulla piattaforma di crowfunding Kickstarter (ha raccolto quasi 2,5 milioni di dollari, contro i  “soli” 100mila dollari inizialmente richiesti dal suo inventore), dopo diversi mesi in pre-ordine, è ora pronto per essere commercializzato, settimana prossima saranno spediti i primi esemplari. Il costo è di 129 dollari.

Sense si compone di un dispositivo sferico hi-tech (grande quanto una palla da tennis) che si occupa di analizzare l’ambiente circostante e di una clip grande quanto una moneta (Sleep Pill) che si aggancia al cuscino; le due componenti hardware monitorano quindi l’ambiente e la qualità del sonno dell’utente inviando a un’apposita app mobile i dati captati. Un microfono ambientale si attiva appena capta un rumore, registrando i rumori fuori norma che posso disturbare il sonno. Sense consente anche di essere impostata per svegliare chi dorme alla fine di un ciclo REM, con musiche rilassanti di sottofondo, così come fanno diverse applicazioni per smartphone. Una “Sleep Pill” aggiuntiva, se agganciata al cuscino del partner, consente di monitorare separatamente il comportamento del compagno, così da avere ben chiaro se il sonno può essere in qualche modo disturbato da qualche comportamento anomalo di condivide il vostro letto.

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L’applicazione fornita a corredo con l’hardware, disponibile sia per iOS che per Android, si occupa di valutare gli input e propone all’utente valide soluzioni per migliorare la qualità del proprio sonno: ridurre il rumore ambientale, rendere l’ambiente più buio, evitare rumori di sottofondo, la temperatura, l’umidità, la qualità dell’aria e via dicendo.

Phorm. Una cover per iPad che fa materializzare sullo schermo una tastiera fisica

I nuovi smartphone hanno definitivamente mandato in pensione i “vecchi” telefoni cellulari dotati di tastiera fisica. Addio pulsanti, levette e altre diavolerie. Nell’era del touch tutto funziona sfiorando con un polpastrello un’immagine che appare sul display. Se da un lato e? una soluzione geniale, dall’altro dimostra una serie di limiti non indifferenti. Scrivere senza avere un riscontro tattile non e? una sensazione piacevole, in piu? nasconde anche qualche svantaggio. Ad esempio, il fatto che sia quasi impossibile digitare senza guardare il display, operazione che in alcuni contesti puo? risultare scomoda.

Per venire incontro ai nostalgici della tastiera fisica, una startup californiana ha di recente presentato una nuova tecnologia impiegata in un case – battezzato Phorm – che si “aggancia” all’iPad Mini e che all’occorrenza fa apparire sul display del dispositivo una tastiera con tasti fisici in rilievo, che poi scompaiono quando non servono piu?.

Ma come funziona? L’innovativa tecnologia di “Tactus Technology” sfrutta un sottile strato di appena 1 millimetro di “Tactus Tactile Layer”, un particolare liquido atossico che viene posto sopra lo schermo touchscreen. Un software si occupa, quindi, di concentrare il liquido nei vari punti in cui e? necessario creare un “rigonfiamento” tipico dei tasti.

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Il dispositivo, che dovrebbe essere commercializzato entro l’estate a un prezzo di 149 dollari –  in pre-ordine a a 99 euro -, attualmente disponibile solo per iPad Mini, sarà commercializzato anche per iPhone 6 Plus e iPad Air. Una leva sul retro della custodia permette al microfluido di “liberarsi” e di andare a “costruire” una tastiera morbida e trasparente sui tasti virtuali mostrati da iOS. Nessuna batteria o altre fonti energetica. Unica pecca: funziona solo con il dispositivo posto in posizione verticale.

Le potenzialita? della tecnologia sono molteplici e vanno ben oltre la possibilita? di avere all’occorrenza una tastiera che si materializza sullo schermo. In futuro le stesse membrane adoperate nel case di Tactus potrebbero essere molto piu? flessibili, quasi malleabili, e integrate direttamente nei display, consentendo ai software di realizzare aree sensibili, di forma e spessore diverso, che si plasmano a seconda delle applicazioni in uso.

Lenti a contatto consentono di ingrandire la vista con un batter d’occhi

Una ricerca finanziata dal Darpa, l’agenzia di ricerca del Pentagono, potrebbe fornire ai militari una super vista in grado di vedere oggetti posti a diversi metri, così come accade con un binocolo, ma tutto funzionante in un paio di lenti a contatto.

Leggermente più grandi e più spesse rispetto alle normali lenti (8mm di diametro e 1,55 mm di spessore), al centro delle lenti sono riposti alcuni minuscoli specchi che formano una sorta di mini-telescopio riflettente, a forma di anello, in grado di far rimbalzare la luce offrendo un notevole zoom degli oggetti messi a fuoco, quasi fino a triplicare (2,8 volte per la precisione) quanto osservato.
Minuscoli canali consentono il passaggio dell’aria assicurando così la massima traspirazione e la giusta ossigenazione dell’occhio. Si pensa che possano essere commercializzate entro un paio di anni.

Un semplice batter dell’occhio destro è in grado di attivare gli specchi e avere così una visione a lungo raggio immediatamente disponibile, strizzando l’occhio sinistro di ritorna invece alla “normalità”. Accoppiate con occhiali speciali, le super lenti a contatto danno nuove speranze anche a milioni di persone affette da degenerazione maculare legata all’età, la più comune causa di cecità negli anziani.

Eric Tremblay, inventore delle super lenti, nonché ricercatore svizzero presso l’École Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL), spiega: “pensiamo che queste lenti possano essere un’importante promessa per chi è affetto da ipovisione o degenerazione maculare legata all’età. Siamo ancora in una fase di ricerca, ma siamo molto fiduciosi sul fatto che quanto stiamo studiando possa presto diventare un valido rimedio per chi è affetto da queste patologie”

Sony BeautyExplorer. La fotocamera che analizza la tua pelle da vicino

Sony ha svelato un nuova fotocamera sta nel palmo della mano e che strizza l’occhio agli appassionati di cosmesi e bellezza della pelle, soprattuto dedicata a un’utenza professionale, come produttori di cosmetici e saloni di bellezza.

La Sony BeautyExplorer, sarà commercializzata dal prossimo mese di marzo e consente di analizzare in profondità la pelle da vicino, andando a scrutare, grazie a un sensore CMOS da 1.3 Megapixel, quello che l’occhio umano normalmente non può vedere. La fotocamera, che pesa appena 115 grammi, si collega a un tablet sul quale mostre le immagini riprese che possono essere anche salvate su un server cloud di Sony; un’apposita applicazione consente di salvare e catalogare le immagini, mentre un apposito algoritmo, battezzato SSKEP, consente di analizzare i miglioramenti della pelle nel tempo, classificando la struttura della cute, pori, umidità, grasso, pigmentazione, la quantità di melanina presente e via dicendo. Per fittare la fotocamera hi-tech di Sony saranno necessari all’incirca 150 euro al mese.

Ascoltare con la bocca. Dispositivo consente di ‘udire’ le parole captando impulsi elettrici sulla lingua

In futuro, le persone con perdita dell’udito potrebbero non avere bisogno di un impianto cocleare, potrebbero invece “ascoltare con la bocca”, o almeno questa è la visione di un gruppo di ricercatori del Colorado che stanno sviluppando un apparecchio acustico incredibile.

“È molto più semplice di un intervento chirurgico e pensiamo che sarà molto meno costoso di impianti cocleari” ha detto John Williams, professore associato presso la Colorado State University. Il professor Williams ha avuto l’idea di progettare questo dispositivo hi-tech durante quella che lui definisce una “crisi di mezza età della ricerca”, e durante la quale ha sviluppato anche l’acufene – una costante, acuto ronzio nelle orecchie.

La lingua contiene migliaia di nervi e la regione del cervello che interpreta le sensazioni tattili della lingua è in grado di decodificare informazioni molto complesse, lo studioso ha quindi pensato di utilizzarla per captare e interpretare distinti segnali elettrici. Un microfono collegato a un auricolare con tecnologia Bluetooth e posto vicino l’orecchio rileva i suoni e li invia a un processore vocale che analizza le informazioni e le trasmette sotto forma di impulsi elettrici a un elettrodo da poggiare direttamente sulla lingua.

Quando gli utenti premono la lingua contro il dispositivo, avvertono un modello distinto di impulsi elettrici, come una sensazione di formicolio o vibrazione. Dopo un’adeguata formazione, il cervello sarà quindi in grado di “sentire” o interpretare gli impulsi e capire così le parole pronunciate nell’ambiente circostante.

Il professor Williams e il suo team credono che, una volta raffinata, l’innovativa tecnologia potrebbe trasformare il mondo degli apparecchi acustici e dare nuove speranze a chi è affetto da seri problemi dell’udito.

Un dispositivo che utilizza il sole per rendere potabile l’acqua salata

Poche volte ci soffermiamo a pensare quanto sia importante per noi l’acqua potabile, diamo per scontato che aprire il rubinetto e avere il prezioso liquido sempre a disposizione sia la normalità, eppure, in molte parti del mondo non è purtroppo così. Nei Paesi in via di sviluppo usufruire dell’acqua è quasi un miracolo, ecco perché un dispositivo come il Desolenator potrebbe trovare impiego in molti posti del mondo.

Si tratta di un dispositivo portatile che promette di far diventare economico e facile la possibilità di rendere potabile l’acqua; per farlo utilizza piccoli pannelli solari e nessun altro materiale di consumo. La sua durata media è di venti anni e non ha bisogno di nessun filtro da sostituire o fonti di energia elettrica.

Secondo i suoi inventori, che cercano fondi per commercializzarlo affidandosi alla piattaforma di crowfounding Indiegogo (cifra da raggiungere e già superata di $150.000), il dispositivo riesce a produrre quotidianamente 15 litri di acqua potabile. “Desolenator permette di desalinizzare l’acqua a un costo nettamente inferiore rispetto a qualsiasi sistema oggi disponibile sul mercato”, ha dichiarato il team di sviluppo del dispositivo.
I ricercatori impegnati nella progettazione hanno sviluppato il Desolenator nel Regno Unito, testandolo con successo in India.

Il CEO di Desolenator, William Janssen spiega che “il 97 per cento dell’acqua del mondo è acqua salata e il nostro piano è di attingere, in un modo completamente nuovo, a questa preziosa risorsa per far fronte alla crisi globale di acqua. Il processo è chiamato dissalazione; oggi solo lo 0,7 per cento dell’acqua del mondo proviene dalla desalinizzazione, la tecnologia esistente è infatti troppo costosa e inefficiente”, ecco perché un sistema come il Desolenator, se prodotto su scala mondiale, potrebbe davvero fare la differenza.

La fidanzata invisibile. Un’App che fa credere a tutti di essere fidanzati con qualcuno

Un’App che invia SMS, messaggi vocali, foto e finanche cartoline da un fidanzato/fidanzata che nelle realtà non esiste. Un falso partner creato ad hoc per far ingelosire qualcuno/a o semplicemente per far credere ad amici e parenti di aver intrapreso una relazione. Per 24 dollari al mese il “servizio” offre 100 messaggi di testo, 10 messaggi vocali e una cartolina inviata realmente a casa.

Invisible Boyfriend”  così si chiama il servizio, permette agli utenti di scegliere sesso, nome, hobbies e anche il look del fidanzato o fidanzata. Gli SMS e i messaggi vocali sono inviati realmente da persone che lavora per conto di un’azienda chiamata CrowdSource, il che rende tutto molto reale.

Matt Howmann, co-fondatore del servizio, spiega come gli è balenata l’idea di metter su questo servizio: “devo ringraziare mia madre, costantemente mi chiedeva quando le avrai dato modo di conoscere la mia ragazza, in quel momento ho capito quanto grande sarebbe stato poter far credere a lei di essere impegnato in una relazione, anche senza realmente esserlo”.

Il servizio è attualmente disponibile solo per i residenti degli Stati Uniti e Canada, anche se ci sono piani di espanderlo anche a livello internazionale.

Mouse Box. Un PC all’interno di un mouse

Di mouse ne esistono di svariati tipi e forme, ma siamo sicuri nell’affermare che quello che vi mostriamo oggi non ha davvero rivali. Si chiama Mouse Box, prende il nome dell’omonima startup polacca che lo ha realizzato; dietro le sembianze di un normale dispositivo di puntamento, nasconde in realtà un intero PC, con tanto di Wi-Fi 802.11b/g/n e interfaccia microHDMI per il collegamento di un monitor esterno. Il processore all’interno del Mouse Box è un 1,4 GHz quad-core ARM Cortex CPU, mentre un tappetino induttivo consente di ricaricare il dispositivo senza necessità di collegarlo a nessuna fonte energetica provvista di cavo.

L’archiviazione è garantita da 128GB di spazio, ulteriori dati possono essere salvati sul web grazie a un apposito spazio cloud. All’interno anche un accelerometro, giroscopio, 2 porte USB 3.0 (poste sul frontale del mouse). Non si tratta al momento di un prodotto commercializzato, l’azienda Mouse Box è attualmente impegnata nella ricerca di fondi per realizzare il prodotto in serie e promuoverne la commercializzazione.

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I papiri carbonizzati di Ercolano rivivono grazie a una nuova incredibile tecnologia

Quando il Vesuvio eruttò nel 79 dC, distrusse anche una biblioteca di opere classiche di Ercolano. Durante gli scavi del 1752, gli addetti individuarono una villa contenente fasci di pergamene arrotolate (circa 1.800 pergamene quelle trovate finora), carbonizzati dal calore intenso dei flussi piroclastici e conservati sotto strati di depositi vulcanici. Ulteriori scavi hanno mostrato che i rotoli facevano parte di una vasta libreria che fu battezzata “Villa dei Papiri”.

I ricercatori hanno sempre attesa una tecnologia che permettesse loro di accedere ai contenti all’interno dei rotoli carbonizzati senza deteriorarli e oggi è stato possibile leggerli virtualmente grazie a un’innovativa tecnica di scansione ai raggi x.

Un team di ricercatori, guidato dal fisico Vito Mocella dell’Istituto per la Microelettronica e Microsistemi (Imm) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) a Napoli, per leggere i papiri senza intaccarli, ha impiegato una tecnica conosciuta come tomografia a raggi X a contrasto di fase, utilizzata presso la struttura europea per la luce di sincrotrone, Esrf (European Synchrotron Radiation Facility), di Grenoble.

Gli esami sui papiri hanno consentito ai ricercatori di accertare la differenza di altezza (circa 0,1 millimetri) tra l’inchiostro delle lettere e le fibre del papiro depositate sulle lettere stesse, un lavoro certosino se si considera che l’inchiostro utilizzato è a base di carbonio, il che rende ancora più difficile distinguere le lettere da elementi di papiro carbonizzato.

Secondo il prof. Mocella, lo stesso metodo “potrebbe essere utilizzato per leggere centinaia di altri papiri della medesima collezione, senza incorrere in alcun rischio per la loro integrità”. A tal proposito, Mocella spiega che “Abbiamo in programma di migliorare la tecnica. La prossima primavera avremo modo di trascorrere più tempo presso il sincrotrone di Grenoble, potremo così sperimentare una serie di altri approcci e cercare di discernere l’esatta composizione chimica dell’inchiostro utilizzato nei papiri.”

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