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Muscolo artificiale pronto per essere utilizzato sui robot

Il sogno di Lenore Rasmussen di sviluppare un muscolo artificiale compirà un ulteriore passo avanti proprio in questi giorni, sarà infatti impiegato in un esperimento sulla Stazione Spaziale Internazionale. Il materiale che compone il muscolo sarà lanciato nello spazio, destinazione ISS, con il sesto cargo rifornimenti, a trasportarlo sarà il razzo Falcon 9 di SpaceX che decollerà alle 22:33 ore italiane (arriverà nei pressi della Stazione mercoledì 15 aprile). Sarà conservato in un rack di stoccaggio a gravità zero in un laboratorio sulla Stazione spaziale per 90 giorni. Gli astronauti analizzeranno il materiale ogni tre settimane; al suo ritorno sulla Terra, previsto per il mese di luglio, lo stesso sarà testato e confrontato con materiali identici rimasti per lo stesso periodo di tempo sul nostro pianeta.

Il materiale messo a punto da Rasmussen (il cui primo brevetto è stato riconosciuto nel 1988) è stato sviluppato presso i RAS Labs, lavorando a stretto contatto con ingegneri e ricercatori dell’US Department of Energy. Vista la sua ottima resistenza alle radiazioni, il muscolo sintetico potrebbe essere utilizzato nei robot inviati a esplorare lo spazio e pianeti come Marte.

“Sulla base dei buoni risultati avuti negli esperimenti a terra, il passo successivo è vedere come il muscolo si comporterà nello spazio” ha riferito Charles Gentile, ingegnere che ha lavorato a stretto contatto con Rasmussen. “Da lì il passo successivo potrebbe essere di utilizzarlo su una missione su Marte”.

Il muscolo di Rasmussen si compone di un materiale simil-gel ai polimeri elettro-attivi che imita il movimento dei muscoli umani, può quindi espandersi e contrarsi con estrema semplicità, rendendolo ideale per l’impiego sui robot. “Noi non possiamo esplorare lo spazio senza robot” spiega Rasmussen, che continua: “Gli esseri umani possono solo sopportare una certa quantità di radiazioni così che limita il tempo che le persone possono restare nello spazio; i robot, invece, possono essere molto resistenti alle radiazioni e operare quindi nello spazio per lunghi periodi di tempo”.

Nelle loro ricerche, Rasmussen e il suo team hanno verificato che il materiale che compone il muscolo artificiale riesce a resistere a temperature estreme fino a-271 gradi Celsius, un valore molto vicino allo zero assoluto, la temperatura più fredda possibile nell’universo. In altre prove di laboratorio, il materiale è stato esposto con successo a raggi gamma, ben un quantitativo ben 20 volte maggiore rispetto alla quantità che sarebbe letale per un essere umano, l’equivalente delle radiazioni che si possono assorbire in un ipotetico viaggio dalla Terra a Marte e ritorno.

NASA. Il 26 gennaio passerà vicinissimo alla Terra un asteroide

Si chiama 2004 BL86, è l’asteroide che il 26 gennaio “lambirà” il nostro pianeta, sarà l’oggetto cosmico che passerà più vicino al nostro pianeta fino all’anno 2027 quando l’asteroide 1999 AN10 passerà ancora più vicino. Sarà distante circa tre volte la distanza fra Terra e Luna ma non costituirà un pericolo.  Al momento del suo massimo avvicinamento alla Terra (26 gennaio 2015), l’asteroide sarà a circa 1,2 milioni di chilometri dal nostro pianeta. A causa della sua orbita intorno al sole, l’asteroide è attualmente visibile solo dagli astronomi muniti di telescopi di grandi dimensioni e che si trovano nell’emisfero meridionale. Il 26 gennaio sarà invece visibile dall’emisfero settentrionale anche ad astrofili dotati di piccoli telescopi o binocoli professionali.
Dalla sua luminosità, gli astronomi stimano che l’asteroide possa avere una dimensione di circa 0,5 chilometri. Don Yeomans del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, in California, spiega che l’asteroide “non costituisce una minaccia per la Terra nel prossimo futuro, rappresenta però un’occasione unica per osservare da vicino un asteroide dalle dimensioni così grandi”.

Asteroide2004BL86-16
L’attuale orbita dell’asteroide

 

La cometa Lovejoy che si trasforma in gas, potrai osservarla anche con un semplice binocolo

La cometa Lovejoy – nota anche come C/2014 Q2 – è stata la prima volta avvistata nel mese di agosto da Terry Lovejoy, un astronomo dilettante; sta attualmente dirigendosi verso nord oltre il nostro pianeta. Il corpo celeste durante il suo spostamento lascia una scia di ghiaccio che si trasforma in gas dal colore verde-azzurro; per riprenderla, fotografi di tutto il mondo si sono mobilitati, scattando incredibili foto. La cometa è più facilmente osservabile dagli “spettatori” dell’emisfero settentrionale, il 7 gennaio sarà il giorno in cui sarà più vicino al nostro pianeta (a circa 70mila chilometri) e quindi più facilmente osservabile. Lovejoy si trova attualmente a circa 43 milioni di miglia dalla Terra, viaggiando a circa 90mila chilometri orari al secondo. Terry Lovejoy, lo scopritore della cometa, vive nel Queensland (Australia), al suo attivo ha la scoperta di numerose altre comete, alcune delle quali scoperte solo via Internet grazie alle immagini della sonda SOHO, la C/1999 O1 Soho. Altre comete sono state scoperte da Lovejoy utilizzando solo attrezzatura relativamente semplice rispetto a ciò che può trovare in un Osservatorio professionale.

Satellite cattura dallo spazio fluorescenza delle piante sulla Terra

Circa l’1% della luce che colpisce le piante viene ri-emessa sotto forma di debole bagliore fluorescente — una dato che aiuta a capire l’attività di fotosintesi delle piante stesse. In occasione di un evento tenuto dall’American Geophysical Union, alcuni scienziati hanno mostrato una mappa (vedi foto in basso) del nostro pianeta nella quale vengono riportati i valori dei bagliori rilevati dal satellite Orbiting Carbon Observatory-2. Il satellite NASA, lanciato lo scorso luglio con l’obiettivo di mappare la quantità di carbonio nell’atmosfera, si è così rilevato capace di fornire anche ulteriori informazioni sulla fluorescenza emessa dalle piante, un’inaspettata capacità secondaria. I risultati della ricerca aiuteranno gli scienziati a capire determinate dinamiche di crescita delle piante in alcune zone del pianeta, valutare meglio i rischi della deforestazione, capire quali aree del pianeta sono più inclini a riciclare l’anidride carbonica; ad esempio, la mappa rivela che le foreste pluviali tropicali vicino all’equatore sono un grosso polmone in grado di “risucchiare” il carbonio dell’atmosfera. La mappatura della fluorescenza potrebbe un giorno essere usata per aiutare a valutare la resa delle colture e come rispondono ai cambiamenti climatici.

La foto propone i dati sulla fluorescenza con una media ottenuta esaminando le informazioni captate tra agosto e ottobre di quest’anno.
La foto propone i dati sulla fluorescenza con una media ottenuta esaminando le informazioni captate tra agosto e ottobre di quest’anno.
NASA svela l’immagine di due galassie, NGC 2207 e IC 2163, in collisione

Lo scorso giovedì, la NASA ha rivelato alcune incredibili immagini che mostrano la collisione tra due galassie, si tratta della coppia di galassie interagenti, a spirale,  NGC 2207 e IC 2163. Le due galassie, situate a circa 129 milioni di anni luce dal nostro pianeta, nella costellazione del Cane Maggiore, girano una nel senso inverso dell’altra, la più grande ingloberà quella più piccola. Il loro avvicinamento è iniziato già 40 milioni di anni. I sistemi della NASA, grazie al lavoro del telescopio spaziale Hubble (che ha ripreso le componenti blu, bianco, arancione e marrone dell’immagine), del telescopio Spitzer che osserva nell’infrarosso (le parti in rosso) e del telescopio Chandra che osserva i raggi X (componenti rosa) hanno captato diversi segnali che, combinati tra loro, hanno dato vista a questa spettacolare immagine. Il telescopio Chandra, rispetto al telescopio Hubble, che ha un’orbita bassa, Chandra ha un’orbita ellittica che lo porta, nel punto più lontano, a circa 138mila chilometri dal nostro pianeta, arrivando, nel punto più vicino, a 9.600 chilometri.
A questo indirizzo web è possibile osservare l’immagine ad altissima risoluzione.

Missione Rosetta: le comete non hanno portato acqua sulla Terra

Forse gli scienziati saranno costretti a rivedere ampiamente le loro idee sulla formazione dell’acqua sulla Terra, questo è quanto si evince da alcune elaborazioni (pubblicate sulla rivista Science) effettuate grazie ai dati raccolti dalla missione Rosetta. La sonda Rosetta, atterrata lo scorso 12 novembre sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, ha messo in evidenza come l’acqua presente sulla cometa risulta diversa da quella che abbonda sul nostro pianeta, nella fattispecie, i due spettrometri di massa (Rosina) della sonda hanno analizzato il vapore acqueo proveniente dalla superficie della cometa, riscontrando che l’acqua della cometa ha le stesse proprietà fisiche dell’acqua terrestre ma, rispetto a quest’ultima, ha maggiore massa con atomi di idrogeno sostituiti con atomi di deuterio; il team ha addirittura scoperto che l’acqua pesante sulla cometa 67P è addirittura più di tre volte superiore alla medesima acqua presente su tutta la Terra. Il prof. Kathrin Altwegg, dall’Università di Berna, in Svizzera, impegnato anche lui sul progetto Rosetta, ha dichiarato: “questo rapporto tra acqua pesante e leggera è molto caratteristico e non facilmente mutabile nel tempo”. Tuttavia altri studi, che prendono in esame i dati del telescopio Herschel Space, hanno in precedenza rivelato che l’acqua presente sulla cometa Hartley 2 (103P/Hartley) – una piccola cometa della Fascia di Kuiper  in una regione del Sistema Solare che si estende dall’orbita di Nettuno (alla distanza di 30 UA) fino a 50 UA dal Sole) appartenente alla famiglia delle comete gioviane, scoperta nel 1986 da Malcolm Hartley – sembra essere più simile e compatibile con il rapporto tra deuterio e idrogeno presente nell’acqua terrestre. Il prof. Altwegg ritiene che “abbiamo molte diverse comete provenienti da diverse regioni del sistema solare, in alcune è presente acqua leggera, in altre acqua pesante, in ogni caso l’impatto di diverse tipologie di comete sulla Terre avrebbe comunque portato a una miscela in cui avrebbe sicuramente prevalso l’acqua più pesante, ciò lascia dedurre che molto probabilmente l’acqua presente sulla Terra non proviene dalla comete”. A questo punto la teoria più accreditata è che l’acqua terrestre provenga dagli asteroidi, l’acqua in essi rinvenuta è infatti molto più simile a quella terrestre. Tuttavia, gli stessi ricercatori affermano che è troppo presto per escludere la teoria secondo la quale l’acqua terrestre provenga dalle comete e che per appurarlo sono necessari ulteriori studi. Fonte

Polvere di cometa recuperata tra ghiacciai e neve dell’Antartide

Alcuni ricercatori hanno individuato polvere di cometa conservata nel ghiaccio e nella neve dell’Antartide, si tratta della prima volta che tali particelle vengono trovate sulla superficie della Terra. La scoperta può offrire importanti indizi su come si sia formato il nostro sistema solare. “La scoperta è molto eccitante per noi che studiamo questi tipi di materiali extraterrestri, abbiamo individuato una nuova fonte per qualcosa che è molto raro e interessante da studiare” ha dichiarato Larry Nittler, scienziato della Carnegie Institution for Science a Washington e direttamente coinvolto nella ricerca.
Per recuperare la polvere di cometa, i ricercatori, a partire dal 2000, hanno raccolto neve e ghiaccio da due diversi siti in Antartide; hanno quindi sciolto e filtrato l’acqua individuando 3000 micrometeoriti, minuscole particelle dal diametro di 10 micron o poco più grandi. Analizzando le micrometeoriti con uno stereomicroscopio sono così riusciti a recuperare più di 40 particelle aventi le caratteristiche della polvere di cometa. Fino ad oggi, l’unico modo per ottenere questo materiale era andare nello spazio oppure pianificare voli nella stratosfera, un lavoro certosino che richiedeva diverse ore di volo per recuperare singole particelle di polvere; per recuperare la polvere di cometa generalmente si usavano piastre rivestite di olio siliconico, attaccante alle ali dei velivoli, un sistema in gradi di intrappolare le particelle di polvere allo stesso modo di come avviene con le mosche e la carta moschicida. Questo metodo, purtroppo, contamina inevitabilmente la polvere che si impregna di olio e che rende molto difficile per gli scienziati la “pulitura” per ottenere materiale organico utile allo studio. Le polveri raccolte in Antartide, invece, sono eccezionalmente pure, non contaminate da nessun agente esterno. Confrontandole con quelle raccolte nella stratosfera potranno dare agli scienziati importanti indizi su quali componenti della polvere fanno parte della loro composizione chimica naturale e quali invece risultano contaminate.

Astronomi scoprono il serbatoio d’acqua più grande mai individuato

Due team composti da astronomi, ciascuno guidato da scienziati del California Institute of Technology (Caltech), hanno scoperto il serbatoio più grande e più lontano di acqua mai rilevata nell’universo. Osservando un quasar (APM 08279+5255) posto a 30 miliardi di trilioni di miglia di distanza – uno degli oggetti più brillanti del cosmo – i ricercatori hanno scoperto una massa di vapore acqueo che equivale ad almeno 140 miliardi di volte quella di tutta l’acqua degli oceani terrestri combinata e 100.000 volte più massiccio del sole. Poiché il quasar è così lontano, la sua luce ha impiegato 12 miliardi di anni per raggiungere la Terra. Le osservazioni rivelano, dunque, un momento in cui l’universo aveva solo 1,6 miliardi di anni. Matt Bradford, uno scienziato della NASA Jet Propulsion Laboratory (JPL), ha dichiarato: “E’ un’altra dimostrazione che l’acqua è diffusa in tutto l’universo, e lo è stata anche in tempi molto lontani.”. Questa scoperta mette in evidenza i benefici di osservazione nelle lunghezze d’onda millimetrica e sub-millimetrica. Tale campo di ricerca si è sviluppato rapidamente negli ultimi due o tre decenni, e per raggiungere il pieno potenziale si sta lavorando alla progettazione del CCAT, un telescopio di 25 metri che sarà costruito nel Deserto di Atacama, in Cile. CCAT permetterà agli astronomi di scoprire alcune delle prime galassie nell’universo. Misurando la presenza di acqua e altre tipologie di gas, gli astronomi potranno studiare la composizione delle galassie primordiali. Fonte

Scoperta quarta luna orbitante intorno Plutone

Quasi per caso, gli astronomi, utilizzando il telescopio spaziale Hubble, hanno scoperto una quarta luna in orbita attorno al pianeta Plutone. Nel frattempo che vi sia attribuito un nome, il corpo celeste è stato temporaneamente soprannominato P4 e si va così ad aggiungere a Caronte, Nix e Hydra. È la più piccola delle lune di Plutone, con un diametro stimato da otto a 21 miglia. P4 è stata scoperta durante la ricerca di anelli attorno al pianeta nano. “Trovo singolare che le telecamera di Hubble ci abbiano permesso di vedere un oggetto così piccolo, a una distanza di oltre tre miliardi di miglia” ha affermato Mark Showalter del SETI Institute, che ha condotto le osservazioni. La NASA sta attualmente pianificando la propria missione New Horizons, missione che ha come programma proprio una ricognizione attraverso il sistema di Plutone; l’obiettivo è quello di scoprire nuovi particolari riguardo i pianeti ai margini del nostro sistema solare. Fonte

La Nasa svela un pianeta simile alla Terra: Keplero-10b

Keplero-10b è un pianeta extra-solare, individuato di recente dalla Nasa, di dimensioni pari a 1,4 volte quello della Terra e con periodo di rivoluzione intorno al suo sole di 24 ore; si tratta del pianeta roccioso extra-solare più piccolo finora scoperto, molto simile alla nostra Terra ma incapace di ospitare forme di vita, poiché molto vicino al suo Sole. La scoperta del pianeta è frutto di più di otto mesi di dati raccolti dalla sonda spaziale Keplero, da maggio 2009 ai primi di gennaio 2010. Fonte

NASA crea mappa Lunare senza precedenti

I crateri polari della Luna, per molti versi ancora misteriosi, saranno presto ben visibili grazie al lavoro svolto da un gruppo di scienziati della NASA. Infatti, grazie alla sonda Lunar Reconnaissance Orbiter e al Lunar Orbiter Laser Altimeter (Lola), sarà possibile avere una mappa topografica del nostro satellite, dettagliata e precisa, la migliore che fino ad oggi disponibile. Secondo quanto riportato sulla pagina web della NASA, Lola, che è a bordo della sonda LRO, sarà in grado di determinare la densità dei crateri lunari e la formazione di bacini multi-ring. La mappa sarà utile agli scienziati anche per determinare le aree lunari che sono in grado di accumulare e conservare materiale volatile come acqua ghiacciata (generalmente profondi crateri vicino ai poli lunari). Fonte e approfondimenti

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HD 10180, nuovo sistema estrasolare molto simile al nostro e con 5 o 7 pianeti

A 127 anni luce dalla Terra, nella Costellazione Idra, risiedi un sistema estrapolare composto da almeno cinque o sette pianeti. La scoperta è stata fatta presso l’Osservatorio Europeo Australe in Cile. Di fatto si tratta della struttura solare, mai prima osservata, quanto più simile al nostro sistema. I cinque segnali più forti corrispondono a pianeti aventi massa tra le 13 e 25 volte maggior della nostra Terra, con periodi orbitali che vanno dai 6 ai 600 giorni. Altri due pianeti sono in forse, tra cui uno che potrebbe rappresentate l’esopianeta (un pianeta non appartenente al sistema solare) più piccolo mai osservato.

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R136a1, la stella grande 265 volte più del Sole

Si chiama R136a1,è una stella, individuata da alcuni astronomi inglesi, dalle dimensioni esageratissime: ben 265 volte più grande del nostro Sole. Per individuare l’enorme stella i ricercatori si sono avvalsi delle più avanzate tecnologie, come il Very Large Telescope dell’Eso (che trova posto in Cile). R136a1 è la stella più grande dell’Universo finora conosciuta, l’annuncio della scoperta è stato dato dal prof. Paul Crowther della Sheffield University mentre osservava gli ammassi stellari Ngc 3603 e RMC 136, incubatori cosmici di stelle super-massive. Secondo Crowther, “R136a1 è in una fase di vita intermedia, e ha subito una intensa riduzione di massa, circa un quinto della sua massa iniziale”.

2013, una tempesta solare potrebbe mettere KO reti elettriche e informatiche

Secondo quanto riportato da alcuni scienziati della Nasa, una violenta attività solare, prevista a partire dal prossimo 2013, potrebbe portare alla distruzione di molte reti elettriche e informatiche. Inoltre, secondo Richard Fisher, scienziato dell’ente spaziale americano, il problema potrebbe riguardare anche i nostri satellite in orbita. Un altro scienziato, Tom Bogdan, ha ipotizzato un modello matematico che raffigura quello che realmente potrebbe accadere. Bogdan ha dichiarato: “Il primo segno di pericolo si avvertirebbe quando le radiazioni interesserebbero i ponti radio e GPS. Dopo una decina di minuti, i satelliti che trasmettono conversazioni telefoniche, TV ed informazioni di ogni genere sarebbero praticamente spazzati via“.

Gli anelli di Saturno sono formati da acqua e ghiaccio

Hanno affascinato gli studiosi per decenni, avvolti in un mistero che forse solo oggi trova risposta. Stiamo parlando degli anelli di Saturno. Un recente studio, che ha visto protagonista anche l’Italia grazie al dott.Gianrico Filacchione dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), dimostra come gli anelli siano in realtà formati in gran parte da acqua ghiacciata. Si è potuti giungere a tale conclusione grazie ai dati inviati dalla sonda Cassini; i dati, infatti, hanno permesso di ricostruire la struttura, composizione evoluzione e dinamica degli anelli. Si è perfino riusciti a determinare la struttura dei singoli anelli: le particelle degli anelli principali sarebbero costituiti al 90-95% di ghiaccio, mentre quelli dell’anello C sarebbero formati anche da carbonio e silicati provenienti da meteoriti.

Obama spegne i sogni di chi vorrebbe rivedere l’uomo sulla Luna

Spese congelate per far fronte alla crisi e conseguente ripercussione sulle missioni spaziali. Questo è il piano di Obama che, salvo ripensamenti dell’ultima ora, congelerà le prossime missioni NASA di ritorno sulla Luna. Il programma Constellation, quindi, quello che avrebbe dovuto riportare l’uomo sulla Luna, viene rimandato, almeno fino al prossimo 2020. Il bilancio americano, purtroppo parla chiaro, 1,35 trilioni di dollari di debiti, un disavanzo pubblico pari al 9,2 del pil. A gioire dell’accaduto saranno sicuramente i cinesi, forti di investimenti nella ricerca spaziali che probabilmente li porterà a breve anche allo sbarco sul nostro satellite.

L’ottavo anello di Saturno. Scoperta dal telescopio Spitzer

Spitzer, il telescopio Nasa conosciuto anche come Space Infrared Telescope Facility o SIRTF è un osservatorio spaziale che osserva nell’infrarosso, prende il suo nome da Lyman Spitzer, uno dei più influenti astrofisici del XX secolo, uno dei primi scienziati a promuovere la costruzione di un telescopio spaziale. Il telescopio ha scoperto di recente un nuovo anello di Saturno, che si aggiunge così ai già sette noti. Si tratta dell’anello planetario più grande del nostro sistema solare; è abbastanza rarefatto ed è composto da micro granelli di polvere provenienti dal satellite di Saturno:Phoebe. Link per approfondimenti

Alla scoperta del pianeta Marte con Google

“Stiamo entrando in un territorio inesplorato”, è quanto dichiarato da Google per il lancio di Google Mars che da qualche giorno è ufficialmente on-line per mostrarci tutti gli aggiornamenti sulla superficie di Marte. Ecco che Google non smette di sorprenderci, dopo soli poche settimane dal lancio di Ocean che ci ha incantato con l’esplorazione dei fondali marini. Con Goolge Mars gli utenti possono accedere alle immagini dalla videocamera Themis, che si trova a bordo della navicella spaziale Mars Odyssey, per vedere in tempo reale le immagini del pianeta rosso, esplorando la superficie, cercando le orbite e, perché no, anche forme di vita aliene! È possibile anche vedere  sorprendenti immagini che risalgono ad anni e anni fa.

Terra sfiorata da un mega asteroide di 40 metri

Un asteroide, denominato DD45, avente un diametro di circa 40 metri, ieri alle ore 14.44, è passato a circa 63.500Km dalla Terra; una distanza che è veramente irrisoria, un eventuale impatto avrebbe potuto causare una catastrofe. Se l’asteroide si fosse mai abbattuto sul nostro pianeta, avrebbe sprigionato un’energia pari a 1000 bombe atomiche. Apophis sarà invece il prossimo asteroide che sfiorerà la Terra, con una percentuale d’impatto del 2,9%. Per osservarlo e scongiurare il pericolo dovremmo però attendere ancora 20 anni.

La Michelin sviluppa le ruote dei prossimi veicoli lunari

Michelin, azienda nota per la produzione di pneumatici, nei centri di ricerca europei e nord americani, ha messo a punto una nuova soluzione di ruota che equipaggerà i prossimi veicoli Small Pressurized Lunar Rover (equipaggiato con 12 ruote mosse da due motori elettrici) che solcheranno la superficie lunare. Si chiama Lunar Wheel, è una particolare ruota priva di aria al suo interno, e in grado di conservare elasticità e appoggio tale da consentire ai veicoli lunari di superare terreni mobili come i crateri, anche a temperature bassissime.  Rispetto alle ruote in filo d’acciaio e titanio, utilizzate in occasione delle missioni Apollo, le nuove ruote Michelin saranno ben 3,3 volte più efficienti.